Nella bistrattata (un po’ a ragione, un po’ a torto) nuova pittura italiana, Andrea Chiesi ha un incontestabile ruolo di rilievo. Le sue serie G.R.U., Moloch, S.P.K., Fattore e Thule sono un po’ nella memoria di tutti: gabbie architettoniche, impalcature, grandi fughe prospettiche di tralicci e camini, cieli plumbei o accecanti. Discutere di pittura italiana dell’ultimo decennio omettendo questo nome sarebbe una grave manchevolezza.
Anche per questo -quando gli sarebbe stato facile e comodo proseguire sulla falsariga di un lavoro già abbondantemente digerito da critica e pubblico e in giro spuntavano più d’un epigono- il fatto che il pittore abbia scelto di mettersi in discussione è senz’altro lodevole. Il gesto diventa più interessante pensando che la sterzata avviene a discapito di un immaginario borderline, post punk e postindustriale ancora in gran voga, nel verso di un inaspettato intimismo, di un ritorno in sé che parte e si conclude tra le pareti domestiche.
Una serie di fotografie, scattate dalle finestre dello studio dell’artista, in varie ore della giornata e con varie condizioni meteorologiche, diventano materiale su cui incentrare una riflessione sul tempo, condotta attraverso la registrazione di microvariazioni di uno spazio. Una dimensione narrativa alla quale l’artista perviene reiterando le vedute di un campo di giochi, di un parcheggio ed un viottolo, brandelli di una realtà intima e interiore, documentata nel suo divenire, non a caso i titoli registrano titolo, giorno, mese, anno ed ora di ripresa. Sono paesaggi delimitati dalla cornice di una finestra, punti di vista filtrati attraverso l’obiettivo fotografico, in qualche modo prosciugati della retorica e della memoria che una conoscenza diretta, maturata sulla consuetudine e la quotidianità, porta con sé.
Non possono non tornare alla mente gli Skyline e le Windows di Marco Neri , rispetto ai quali però avviene una sorta di inversione: dalla dimensione cosmica e perpetua di Neri a quella microscopica e transitoria di Chiesi, due immaginari che finiscono per incontrarsi sulla soglia dell’in & out.
Chiesi non trasgredisce alle abituali tonalità bicrome in b/n ma si ingentiliscono le sfumature, virando nel blu e nel verde, e si ribaltano le atmosfere, dai cieli abbacinanti o malati ai notturni metafisici, in cui, alla luce stentata dei lampioni, ogni forma o silhouette diventa fantasma monocromo, nero o bianco.
In molti hanno criticato questa svolta dell’artista, imputandogli una certa semplicità concettuale, un’accondiscendenza verso soggetti facili ed attraenti. Invece due sole cose gli si possono ragionevolmente contestare: da un lato di aver abbinato al ciclo alcuni immaturi ritratti degli anni ’80 che tradiscono ridondanti trascorsi da illustratore, dall’altro di consentire che queste opere possano essere lette singolarmente, quando solo nel dittico o del trittico si estrinseca in modo compiuto il messaggio concettuale che vi è contenuto. Come per altro si evince perfettamente dal testo di Luca Beatrice che accompagna la mostra. Detto questo, Andrea Chiesi è tornato a casa.
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la battuta e' già stata usata per sigolo, un po' di originalità...per favore...
SILENZIO. PARLA SIGOLO!
a gusta', sei un rosiconeeeeeeeeeee
la punteggiatura di eleonora fa paura...
sigolo ci guida e ci conduce? uno che scrive contemporaneamente per exibart e flash art non puo' che condurci verso il baratro...
bah...!
("Maglio" che significa? Ti riferisci all'artista?).
allora senti questa: chi è che ci guida e ci conduce: Sigolo.
maglio? è anche più efficace
hai ragggggiooneeeee