“
Non c’è niente da spiegare”,
scrive
Maurizio Battaglia (Cesena, 1971), “
non m’interessa l’approccio concettuale”
. Eppure la sua opera è quella di
un intellettuale riflessivo, che crea una dimensione pensata, rivisitata. Una
dimensione partecipata, in cui l’artista si riappropria di elementi naturali
per ridisegnare le cose e la natura stessa: raccontare pensieri, evocare luoghi
e personaggi che lo affascinano.
“
Non siamo noi a trovare le cose, ma le cose a trovare
noi”. Allora
tutto diviene importante, ineluttabile spunto creativo: la memoria di un
paesaggio, l’immagine delle cose, le parole. Così, dalla mente e dalle mani di
questo romagnolo di talento nascono sculture fatte di noccioli dipinti con
sfumature di grigio e d’azzurro. Quelli di cinque frutti diversi, qualcosa che
in genere si butta via.
Battaglia li usa per costruire un
Ossario, una natura morta d’inverno, un
angolo di roccia ghiacciato e un nido immaginario
, Pseudoentomologia, che è quasi un’acquasantiera, ma
è in alto, irraggiungibile. Un nido vuoto e un immaginario insetto che, più in
basso, è ingrandito da una lente.
È l’antica concezione filosofica di un divenire ciclico
senza fine a muovere l’agire di quest’artista che lavora a Montecodruzzo, un
fiabesco paesino sulle colline della Romagna, dove vivono ventidue abitanti.
In galleria è la grande installazione in ferro, ispirata a
Paul Cézanne,
a colpire lo sguardo all’ingresso della mostra: sono le forme di un cavalletto,
di una tela, di uno sgabello, di un pavimento e il titolo del celebre dipinto
Les
grand baigneuses a
evocare, con la forza del metallo, lo studio del grande artista.
E s’ispira di nuovo a Cézanne l’albero di carta, che ha
come frutti sei opere dedicate al francese, con i rami carichi di parole,
pensieri, aforismi. Sono ancora parole quelle scritte su 300 fogli di acetato,
un numero cha sa di storia, in un circolare
Germogliatore: a dire che il pensiero nasce
come vita.
È un percorso che cattura, sorprende, invita a restare.
Con un artista che elabora attraverso istintività e consapevolezza, che coniuga
abilmente le istanze dell’
es e dell’
io, quando crea ad esempio il
Kit di sopravvivenza
artistica.All’esterno della spaziosa galleria cesenate si staglia
una grande installazione-scultura, un parallelepipedo in plexiglas con solo due
pareti: è un
vuoto,
sintesi un po’ forzata, frutto di una lunga ricerca e della filosofia del
togliere, per raccontare l’opera di
Giovanni Bellini, per ricordare lo scultore.
E, come nella storia dell’
Omino di niente, è il pensiero a costruirne
l’immagine e il significato. Peccato che la sua fruizione sia disturbata da
catene e bande rosse di protezione.