Ancora corporeità –nell’unione di concretezza e poesia- per Nicola Samorì (Forlì, 1977). La Galleria L’Ariete ospita una nuova serie di lavori dopo la precendente TAC – un paesaggio chiamato uomo.
È dunque la volta di Disiecta. Parte di queste opere sono già state presentate lo scorso settembre in una chiesa di Fusignano (in provincia di Ravenna), ed è a questo sito che si lega il motivo ispiratore della mostra. Contese cruente ebbero infatti luogo secoli fa tra alcune famiglie del luogo: le morti violente che ne conseguirono sono rievocate dalle opere, con lo smembramento del corpo umano in parti. Membra disiecte, appunto.
Formati diversi, tecniche molteplici (esposta anche una scultura) e pienamente padroneggiate sono gli strumenti di Samorì. Grande disegnatore, affronta l’attività dell’artista con lo studio, troppo spesso accantonato, ereditato da una tradizione secolare tutta italiana.
La forza d’urto sul presente non è affatto sminuita dall’approccio “accademico”; al contrario, i vari supporti (ora d’alluminio, ora di iuta, su cui viene applicata carta o acetato) offrono visioni di un immaginario contemporaneo. Indagato come? Attraverso una riflessione che utilizza il corpo a mò di metafora dello spirito di un’epoca. Un tempo lacerato, bruciato, corroso e arrugginito come le superfici delle opere; pezzi di uomo sparpagliati senza ordine in uno spazio ormai incontenibile e indecifrabile. Solo un sereno rapporto con la realtà potrebbe ricomporli, e ricomporre con essi l’identità dell’individuo. Ma la relazione interno/esterno, uomo/mondo, non è mai stata pacifica. E l’arte di ogni epoca ha espresso questo disagio. Forse per questo che Samorì accanto ai grandi lavori che riproducono principalmente volti, sparge immagini di minori dimensioni con i restanti brandelli di quell’organismo mutilato.
Se è vero che da sempre e ovunque l’umanità veicola la propria percezione del mondo tramite il corpo, allora l’aggressione diretta ad esso si fa simbolo di un universo sempre più dilaniato, incomprensibile, sofferente.
Samorì è affascinato anche dalla scultura: la stratificazione della materia, il rilievo e parallelamente l’incisione (non dimentichiamo che vince il Premio Giorgio Morandi proprio per l’incisione) mettono la sua opera a stretto contatto con i valori della tridimensionalità.
La sua è una fisicità che si propaga nell’intera produzione, dai soggetti al trattamento materico: la sostanza arsa acquista un colorito spento, uniforme, quasi monocromo, che moltiplica il valore comunicativo dell’instabilità, della difficoltà continua dell’esistenza.
giulia barbieri
mostra visitata il 7 novembre 2005
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