L’uomo e lo spazio. Un binomio affascinante, ricco di implicazioni psicologiche, culturali e sociali, terreno fertile sul quale sviluppare percorsi creativi e ricerche di linguaggio necessari e contigui all’evoluzione stessa del concetto di arte. Lo spazio come luogo da attraversare e conquistare, animato al suo interno da differenti registri interpretativi e l’uomo come protagonista involontario di un dramma esistenziale in continua evoluzione. L’esposizione modenese utilizza alcuni fra i maggiori esponenti della storia dell’arte internazionale come strumenti interpretativi di un universo fenomenico complesso, coprendo un arco di tempo che va dai primi del Novecento al secondo dopoguerra. Un percorso artistico che trasforma lo spazio in paesaggio caotico e inquieto, perso nel dinamismo colorato di una figura in perenne movimento. La ricerca futurista di Giacomo Balla e Fortunato Depero scuote violentemente la realtà, suggerendone, con violenza creativa, un’interpretazione drammaticamente gioiosa. Con la metafisica di Giorgio de Chirico lo spazio diventa luogo della mente, confine invalicabile di una memoria spessa e stratificata all’interno della quale l’uomo cerca una traccia evidente del proprio passato. Protagonista immobile di uno spettacolo sospeso nel tempo, il corpo diventa manichino, mentre la città si perde, nascosta tra i fumi di una nuova dimensione. I percorsi trasversali di Carlo Carrà e Mario Sironi sembrano rilevare con esiti opposti le molteplici anime del paesaggio. Il primo utilizza il potere distensivo della forma e del rapporto equilibrato di quest’ultima con lo sfondo per giungere a un risultato armonico e riflessivo. Il secondo, invece, sottopone la figura ad una sintesi formale accentuata per ottenere un’atmosfera vibrante, animata da un gioco continuo di luci e ombre.
Al suo interno, i corpi, si tingono di una profonda e straziante solitudine. E ancora Giorgio Morandi, con le sue forme cromaticamente coerenti, delicate, discrete e quasi impercettibili, e Felice Casorati con i suoi soggetti pensierosi, immersi in un luogo gonfio solitudine, persi in uno spazio intimo e indefinito.
Il piacere della pura elaborazione fantastica caratterizza l’opera di René Magritte. Il suo è uno spazio onirico, dentro cui attuare una sospensione volontaria della logica e portare a termine una dolce e innocua rivoluzione irrazionale.Alberto Savinio, invece, unisce alla dimensione onirica e favolistica di Magritte, uno slancio epico di forte impatto. Un’analisi attenta del rapporto tra uomo e spazio non poteva non includere la dimensione poetica e fantastica di Osvaldo Licini. Le sue figure si muovono, libere, in un cielo dominato dal potere magnetico della luna, avvolte in un’atmosfera ariosa e lirica. Renato Birolli, Mattia Moreni, Afro e Giulio Turcato, esponenti tra gli altri del “Gruppo degli Otto”, utilizzano una fresca spontaneità creativa raggiungendo una figurazione svincolata dai rigidi confini del realismo e dell’astrattismo. La loro è una pittura sensibile e energica che in Moreni si libera dal peso della forma, in Afro si apre alle suggestioni dell’esperienza informale e in Turcato si immerge nelle profondità oscure dello spazio per esplodere in una dimensione ricca di contrasti cromatici e di forme appena abbozzate.
E ancora, la gestualità energica e improvvisa di Hans Hartung, il linguaggio segnico di George Mathieu, gli sviluppi surrealisti di Sebastian Matta e il dinamismo materico di Andrè Masson.
Lo spazialismo di Lucio Fontana aggredisce la superficie per superare, con decisione, il concetto di bidimensionalità e attraverso la sintesi di diversi elementi fisici superare la mortalità dell’opera per raggiungere nel gesto l’eternità dell’arte. Mimmo Rotella ci suggerisce le suggestioni colorate dello spazio quotidiano, carico di messaggi rumorosi e spregiudicati, sviluppati in superficie ma capaci di penetrare nei silenziosi meandri dell’inconscio con la violenza di uno strappo.
nicola bassano
mostra visitata il 19 dicembre 2006
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