Al sessantacinquesimo anno di età,
Luigi Ontani (Vergato, 1943; vive a Roma) ottiene dalla propria città natale o, meglio, da quella che forse più ha frequentato negli anni della formazione, il riconoscimento istituzionale, che gli vale di conseguenza anche il plauso nazionale sia del mondo dell’arte sia di quello che all’arte ci si accosta nei weekend.
Non ne aveva poi così bisogno. Ontani già dagli anni ’70 si configura come una delle personalità più inedite e indipendenti della scena italiana, latente alle correnti ma mai implicato, tradizionalista e innovatore, dalle tinte forti seppur raffinate, con un gusto per la decadenza che ricorda i fasti dell’antica Roma e le mollezze di alcune tele del Settecento. Ma la retrospettiva in duecento atti composta dal Mambo sotto la cura di Gianfranco Maraniello è senz’altro un bel regalo alla città di Bologna.
La mostra si snoda in un percorso esaustivo e variegato, in cui emerge con prepotenza tutto il carosello di citazioni e presenze di cui è animata la poetica del maestro emiliano, attraversata da sempre da personaggi del mondo delle favole,
character dei fumetti, miti tratti dal mondo classico,
e dal più grande protagonista di tutta la sua produzione artistica, sé stesso, riproposto nelle più svariate situazioni ed epoche, ritratto all’interno di cornici dal decorativismo esasperato, in foto ricordo o negli storici tableaux vivants, sulle superfici di ceramica e così via, in un caleidoscopio di sensazioni e suggestioni su cui il kitsch spadroneggia incontrastato.
Esempio calzante di quest’attitudine è senza dubbio la serie delle
Ventiquattr’ore, dove il tema dello specchio, insieme all’apologia dell’ego, sono portate al parossismo. Sullo sfondo di atmosfere che ricordano
Wilhelm Von Gloeden, di amplessi zoomorfici, di apparati bucolici, di luci e ombre di un’identità forte ma complessa, si appoggia languidamente il corpo nudo, a tratti satiresco di un Ontani giovanissimo, che si mostra -a reinterpretare in chiave contemporanea alcuni episodi mitologici- avvolto in morbide guaine colorate come un efebo di epoca adrianea.
Della stessa fatta è la serie infinita delle
ErmEstetiche, realizzate in ceramica di Faenza, in cui personaggi della storia dell’uomo o della fantasia, dal Signor Bonaventura a Dante Alighieri, da San Sebastiano a Einstein a Pitagora di Samo sono trasfigurati fino a rassomigliare all’artista, mentre i simboli che ne identificano la personalità e la fama sono messi in ridicolo e i membri vengono sottolineati da tinte e dimensioni sproporzionati.
Non mancano le citazioni dall’universo orientale -fra tutte è da ricordare la scultura dell’elefante, simbolo del dio Ganesh, nella sala dedicata all’India- in cui Ontani si riconosce alla perfezione, per il suo gusto votato ai barocchismi e il suo desiderio di trascendenza spirituale, realizzato carnalmente attraverso l’onanismo artistico e la trasposizione del sé nel mito. Quasi volesse sfidare l’immagine fotografica, scultorea, pittorica che sia, a rubargli l’anima.