Sono solo tre gli oggetti esposti da
Elia Cantori (Ancona, 1984; vive a Londra) in occasione di
Amplified Loop, tutti caratterizzati da un’estetica essenziale e incisiva, che riassume in una strana e attraente mescolanza il poverismo nostrano, il minimalismo americano ed elementi ludico-aggregativi dell’arte relazionale.
Tutti questi riferimenti emergono in una costante comunione con i principi della fisica del movimento e della percezione. Dall’indistricabile groviglio metallico di
Loop alla sfera di
Stanza, ogni opera riassume il tempo e lo spazio di un atto performativo, si trasforma nel prodotto di azioni terminate ma completamente presenti nel risultato finale.
Anche le forme, irregolarmente curve o perfettamente sferiche, sottolineano una processualità conclusa, raccolta. Se da un lato la gigantesca ruota che costituisce
Navetta ricorda le prime performance da
Criceto di
Patrick Tuttofuoco (avvenute a Milano nell’ormai lontano 1999), allo stesso tempo se ne allontana, includendo la possibilità per l’osservatore/attore di agire in prima persona e muoversi, ruotando di 360° in una sorta di gabbia spaziale.
Il coinvolgimento del pubblico in un’azione “fisicamente impegnativa” e la ricerca dei suoi effetti sulla percezione umana avvicinano l’opera di Cantori anche all’arte coinvolgente e spettacolare di
Carsten Höller (per esempio, ai vorticosi scivoli allestiti alla Tate nel 2006).
Il costante ritorno all’origine, la ciclicità di ogni processo naturale (fisico o chimico), l’infinito ripetersi dei fenomeni che sottendono a tutte le leggi del cosmo si materializzano nelle disordinate ed eleganti curve di
Loop. Costituita da un grande tubo in metallo morbidamente annodato, la scultura di Cantori (qui per la prima volta nella sua versione
Amplified) è accompagnata dalle riprese a infrarossi effettuate al suo interno, prima che la struttura venisse definitivamente saldata e congelata nella sua forma definitiva.
La traccia sonora del video è ottenuta attraverso la semplice registrazione dei rumori generati dall’attrito della telecamera mentre scorre lungo le pareti metalliche della scultura; non vi è stato alcun intervento di montaggio o “pulizia”, eppure il risultato stupisce per efficacia e precisione.
Con
Stanza, infine, ci si trova di fronte a una vera e propria implosione, a una condensazione spaziale: l’unica testimonianza della completa distruzione del suo studio da parte dell’artista. L’opera è costituita dai residui polverizzati di pareti, porta, soffitto e tappeto, diluiti, colati e assemblati fino a ottenere una grande sfera bianca.
Unici superstiti di questa faticosa performance sono un neon (ironicamente appeso sopra la scultura, a mantenimento della sua collocazione e funzione originaria), una maniglia e una serratura, saldamente incastonate sulla sua superficie.
Stanza è una “ristrutturazione scultorea” nel senso più ampio del termine: è il semplice riciclo di materiale autobiografico, è la manifestazione fisica dell’infinito potenziale di trasformazione/rigenerazione insito nella natura stessa della materia.