Non a tutti risulterà piacevole l’idea di andare a vedere una mostra nella casa natale di Benito Mussolini. Superati, però, questi primi momenti di perplessità, la visione d’insieme delle opere ripagherà qualsiasi dubbio. In quelli che furono gli ambienti dove crebbe il Duce, ritroviamo oggi la testimonianza storica degli strumenti che furono utilizzati per accrescere il suo consenso. I nomi degli artisti sono tra i più conosciuti del Novecento italiano: Sironi, Dudovich, Sepo, Schawinsky, Wildt solo per citarne alcuni. Come una piramide di potere la mostra parte dal suo vertice, ossia l’iconografia dello stesso Duce con manifesti che lo ritraggono sempre con espressione dura, fiera a tratti esageratamente impostata, tanto da risultare finta.
Le ultime due sezioni dell’esibizione sono dedicate al “popolo italiano”. La vita del cittadino era scandita, sin dall’infanzia, da impegni patriottici. Dai manifesti sui giovani balilla, inevitabili, si arriva a quelli che pubblicizzano le manifestazioni sportive, altro famoso vanto del Ventennio. Ultima la pubblicità di quei prodotti che oggi chiameremmo politically correct. Una famosa icona dell’arte italiana del ‘900, e cioè la pubblicità di Dudovich per la Fiat Balilla si può qui ammirare per la sua straordinaria sintesi grafica e seduttività. Ancora oggi fonte di ispirazione di tanti spot. La riflessione immediata che suscita la vista di questa cinquantina di opere è la gran potenza dei mezzi di informazione. La capacità che questi hanno di persuadere, convincere, imporsi quando chi le organizza riesce ad intuire bene i bisogni inconsci della popolazione.
Non si può che sottolineare, inoltre, la grande innovazione estetica degli artisti del “consenso”. Fu utilizzato un linguaggio artistico semplice, geometrico, pulito. Niente di più lontano dai manierismi dello stile liberty, allora in pieno vigore. Lo stesso Mussolini nel 1926 ebbe ad affermare che l’arte dell’Italia fascista doveva essere “tradizionalista e moderna”. Certamente una contraddizione in termini, ma che esprime bene l’idea di una continuità col glorioso passato romano e al tempo stesso l’esigenza di imporre il nuovo regime. Straordinario è il manifesto di Schawinsky del 1934 intitolato “Sì”, edito per il plebiscito dello stesso anno, con un primo piano a tutto campo del Duce, il cui busto è composto di una foto di folla gremita ed il viso invece realizzato a puntini bianchi e neri.Una tecnica che ricorda l’odierno utilizzo dei pixel. Come non confrontare allora questo manifesto con i contemporanei lavori di Pintaldi? Niente di nuovo sotto il cielo d’Italia.
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Giulia Farinelli
[exibart]
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Figura principe di questo periodo fu senza dubbio Margherita Sarfatti. Dice Antonio Saggio in http://architettura.supereva.it/coffeebreak/20001222/
"Socialista e femminista, critica d'arte e giornalista, ispiratrice del primo duce, appassionata amante e sua biografa ufficiale, grande promotrice delle arti dal Futurismo ai primi anni Trenta, Margherita Sarfatti è ricordata come una delle donne più potenti d'Italia... Comincia la sua attività di critica d'arte dalle colonne dell'Avanti e in questa professione, assolutamente inusuale per una donna, ha presto importanti riconoscimenti. Milano è fervida d'idee e di iniziative e Filippo Tommaso Marinetti un ruolo di dirompente novità. Margherita stringe amicizia con i pittori futuristi primo fra tutti il geniale Umberto Boccioni, il torvo ma dotatissimo Mario Sironi e Achille Funi a cui più avanti dedicherà una monografia...La "Regina senza corona del fascismo" lavora alla creazione di un movimento artistico che, come il fascismo, sintetizzi idee antitetiche. È un parallelismo di metodo che porta a un analogo ibrido perché "Novecento" -incrocio di arte moderna (o internazionale) e arte classica (per definizione, italiana)- diventa un contenitore molto capiente così come un contenitore è stato, per esempio, il corporativismo, miscela fumosa di capitalismo e socialismo."