Dopo aver affrontato il nero delle imponenti e cupe cattedrali â dodici tele della serie saranno allestite nel futuro Museo della CittĂ che sta realizzando la Cassa di Risparmio di Bologna â
Piero Pizzi Cannella (Rocca di Papa, Roma, 1955) passa a celebrare la luminositĂ del mare. Tre oli inediti di grandi dimensioni, realizzati durante lâestate, sono accompagnati da altrettanti lavori su carta e coprono lâintero spazio della galleria â uno per ogni sala â in un allestimento suggestivo e minimale.
Con figurazioni dal sapore onirico, incredibilmente luminose, Pizzi Cannella abbandona dunque il buio e si affaccia allâesterno, per far entrare nel quadro la luce estiva della distesa marina. Quella di un cielo terso e celeste, scaldato da un sole mediterraneo, mai uguale a se stesso, che va a costruire unâopera dove la pittura si stratifica oppure lascia scorgere la tela grezza. Un quadro che â
deve vivere nella solitudineâ, come dichiara lo stesso artista, fatto di piani sovrapposti e velature.
Cielo, mare e terra si confondono nella visione totalizzante di unâimmagine che lascia lo spettatore in unâatmosfera di attesa e sospensione, totalmente irreale, pur permettendogli di respirare la brezza salata che sale dalle onde. I pochi oggetti â antiche anfore, conchiglie e sedie vuote -, accompagnati da scritte, paiono fluttuare con leggerezza e senza peso in una raffigurazione immaginifica, dove lâoggetto stesso si fa frammento di colore e luce, e diviene un bagliore o il ricordo di unâapparizione improvvisa.
Una pittura che vive di emozioni segrete e pensieri indefiniti, quella di Pizzi Cannella, composta da densitĂ liquida e poesia inespressa, dove câè sempre un sentore di magia. E qui sono le cose sparse ad apparire magiche e fuori del tempo, tracce di una sedimentazione simbolica giĂ avvenuta nella memoria. E câè pure quella pennellata perfettamente riconoscibile ed essenziale tra lâeffetto acquoso del vapore che sale, câè la scrittura e ci sono le cancellazioni.
Solo tre quadri, dunque, ma di grande impatto scenografico. In
Vivere al mare, lâessenzialitĂ estremamente poetica delle tre sedie che si perdono nellâazzurro dice tutto, mentre in
Libeccio a maestrale le conchiglie sospese fanno risuonare il rumore delle onde che sâinfrangono sulla battigia.
A conclusione del ciclo, nellâultima sala troviamo
I vasi dei pesci dellâisola, dalle reminiscenze arcaiche, con le anfore che paiono quasi galleggiare impalpabili nellâacqua, nellâampiezza dello sfondo senza prospettiva, tra assenza e presenza, mentre perdono la loro consistenza oggettiva e si trasformano in pura evocazione.