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L’inerme è imbattibile. Che l’inerme sia imbattibile lo proclamo sottovoce, per un debito di sofferenze. Per rispetto verso tutti quei silenzi che non potranno dirsi mai”. Così scrive
Massimo Zamboni nelle installazioni verbali riprese dall’opera multimediale
L’inerme è imbattibile, che si affiancano alle fotografie discrete di Mostar di
Fabrizio Cicconi, sostenute da libri e appoggiate quasi provvisoriamente ai muri dei matronei della Sinagoga.
Proprio all’interno di quegli spazi suggestivi prendono inizio i suoni e le visioni di
Bih, progetto che comprende workshop, incontri, filmati, letture ed esposizioni dislocate in vari spazi della città, da quelli istituzionali fino a un supermercato.
Il percorso ha inizio con il
Manifesto Sarajevo, vero e proprio manifesto realizzato durante l’assedio da
Enver Hadžiomerspahić.
Enjo è il fondatore di Ars Aevi, il Centro d’Arte Contemporanea dei Balcani – che sarà presente alla prossima Biennale di Venezia e che diventerà presto un museo -, un organizzatore e un comunicatore più che un artista, e tuttavia una figura significativa nell’ideazione del progetto. Che si manifesta in diagrammi matematici sul concetto di poco e tanto,
stelle come simboli di energia cosmica, frasi di ecumenismo universale più che religioso, una sorta di messa in scena della parola, un inno all’armonia dell’universo, una teologia della nuova era che segna la decadenza di un regime.
Degna di nota è anche l’installazione sonora interattiva dell’artista reggiano
Pietro Mussini,
Countdown, che propone comunicazioni linguistiche in sintesi, ossia una serie di voci che svolgono un conteggio da 99 a 0 in idiomi diversi.
Sparsi per la città e al Centro Gabella sono i
Rebox, lightbox che mostrano oggetti utilizzati per l’identificazione delle vittime (
Identify), mentre allo Spazio Gerra s’incontra la selezione di opere di due artisti bosniaci. Il primo è
Anur, che presenta il ciclo di tre serie (una delle quali è stata presentata alla 49esima Biennale di Venezia) intitolato
Human Condition, a metà fra arte e pubblicità, con una propaggine in forma di grandi poster sotto il portico della Galleria Parmeggiani e alla Coop Reggio Est con la distribuzione di volantini. Utilizzando il termine “
art-vertising”, Anur sceglie forme espressive semplici e dirette per veicolare non uno slogan, bensì una sola parola che colpisca i vizi di una società troppo consumistica. Ironica la serie
Fake Art che, allestita come una moderna e finta quadreria privata, utilizza fotomontaggi che hanno come soggetto alcuni aspetti problematici della vita, riproposti però – attraverso un filtro che imita il pennello – come “false” immagini artistiche.
Nebojša Šerić-Shoba mette invece in crisi l’idea delle grandi narrazioni con messaggi oggettivi basati su una piccola esperienza, fondati sul vissuto, denudati e offerti allo spettatore. Nel dittico
Untitled (Sarajevo-Monte Carlo), presentato alla Biennale del 2003, due fotografie ritraggono l’artista in posa, in trincea e nell’ambiente glamour di Monte Carlo, a segnalare come tutto possa essere ugualmente reale. Lo stesso messaggio è trasmesso dai video, e in particolare in
No comment, nel quale l’artista manipola i contenuti della CNN sugli scontri in Palestina affiancandoli a persone in spiaggia, creando una falsa prospettiva televisiva.