Motocicletta e
Velocità di motoscafo. Due dipinti, dal tratto energico e
saettante, raccontano lo spirito del loro creatore: la sua adesione alla
corrente che inneggia alla velocità, alla forza, al progresso. Originale
interprete futurista,
Giovanni Mario Dal Monte (Imola, Bologna, 1906-1990) sarà
partecipe e promotore di eventi nel nome di questo movimento, di cui assume
l’identità in una veste personale e dinamica.
Per essere qualcuno che innova, sperimenta stagioni,
trasforma il proprio linguaggio pittorico. Dapprima l’amicizia con
Marinetti e
Balla: lettere, giornali, manifesti,
fotografie sono lì a raccontare rapporti umani, scambi, iniziative. C’è il
catalogo di una mostra del 1927 alla Casa del Fascio di Bologna, inaugurata
dallo stesso Marinetti. E c’è Dal Monte, interprete innovatore della
comunicazione.
È possibile osservare in mostra progetti di moda, oggettistica,
grafica, scenografia nell’espressione di
Magudarte, la sua “casa d’arte” imolese,
attraverso cui l’artista si propone di rileggere tutto ciò che appartiene al
quotidiano, guardando “
alla ricostruzione futurista dell’universo”.
Per un cambiamento globale
degli stili di vita: abiti femminili, costumi teatrali, decori per mattonelle,
suggerimenti per arredare uffici e studi per stoffe, cravatte, profumi, slogan
pubblicitari, dal
Dentifricio liquido il più razionale a
Il tumulto delle metropoli
infiacchisce. Ringiovanitevi col Cognac Branca. Alcuni, esposti per la prima
volta e accattivanti, sono proiettati verso le esigenze di una società moderna.
Poi scorrono esempi del Muralismo, che vedrà la produzione
di altri grandi del Novecento. Uno è per la casa Littoria, e ci sono tre
diversi autoritratti, a segnare il suo cammino evolutivo. Negli anni ‘40, un
nuovo cambiamento verso il Surrealismo, con fantasie astratte, per cambiare
ancora una volta, attraverso un’iconografia Neometafisica. Sagome come
fantasmi, figure che s’intersecano, librandosi in uno spazio vuoto. O figure
sinuose, che sembrano danzare su un pianeta immaginario.
Vi sono le suggestive sovrapposizioni di fantastiche
geometrie e le piccole sculture ceramiche. Sei terracotte del 1948 dalle
strutture formali, articolate scenicamente, intrecci smaltati di blu, rosa,
bianco. L’Arte Concreta, Informale, fino alle opere del Neofuturismo e un nuovo
studio: quello Optical, a dire che la ricerca di quest’artista, invitato alla
Biennale di Venezia nel ’28 e molte altre volte, non ha confini.
Un grande
Dittico chiude la mostra, l’ultimo lavoro che Dal Monte
dipinge due anni prima della morte: una finestra che si apre su un mondo di
colore materico e dinamiche figure del pensiero. Una corsa, quella dell’imolese,
che abbraccia esperienze pittoriche diverse, lontane solo in apparenza. A
unirle, un unico comun denominatore: l’inquietudine, il superamento del dato,
la luce del linguaggio cromatico, lo spirito indagatore di potenzialità espressive.
Ed è l’anima stessa del Futurismo a non abbandonare mai la
sua opera, al di là dell’appartenenza alle diverse avanguardie. “
Io metto
una lente davanti al mio cuore per farlo vedere alla gente”: parole che anche Dal Monte
avrebbe potuto dire.