Gli artisti selezionati sono già affermati nei propri territori di origine ma costituiscono una novità per il pubblico italiano. Cosa intende mettere a fuoco la dimensione di “officina”?
Le mie Officine (Italia, ’97, Europa, ’99, America, 2002, Asia, 2004) sono delle biennali molto sui generis in cui, invece che offrire di volta in volta uno spaccato mondiale della ricerca, esamino una singola area continentale, seppur concedendomi delle forti riduzioni, così per esempio questa puntata dedicata all’Asia in realtà esamina solo Cina, Giappone e Corea del Sud, lasciando da parte tante altre aree pur in pieno sforzo creativo come l’India, il Vietnam, la Turchia; allo stesso modo l’America da me indagata nel caso precedente era solo quella del Nord, Stati Uniti e Canada. Restringendo il campo, posso ridurre un poco i costi. Ma nello stesso tempo sono ben consapevole che non posso certo “fermare il mondo”, nel condurre queste mie ricognizioni, ovvero la ricerca va avanti e muta di continuo, cosicché con queste puntate biennali intendo anche andare a vedere, quasi “in tempo reale”, cosa è accaduto nel frattempo.
Nel corso degli ultimi due anni lei è stato impegnato nella selezione degli artisti, com’è stato rapportarsi con un contesto socio-culturale così diverso rispetto a quello occidentale ?
La stessa adozione della formula biennale per aree continentali implica in qualche modo che queste rappresentino delle realtà divenute comparabili tra loro, in luogo di presentarsi chiuse in un proprio specifico incomunicante col vicino. Ovvero, esiste la cosiddetta globalizzazione, oggi ogni realtà planetaria è in comunicazione e in dialogo con le entità territoriali vicine e lontane, in uno scambio capillare di informazioni. Tutto questo però non vuole dire che sia in atto la giustamente deprecata omogeneizzazione di tutto con tutto, non credo cioè che le varie realtà continentali si compattino in un unico profilo facendo emergere dappertutto gli stessi responsi. Se si vuole ridurre il tutto a uno schema, diciamo pure che oggi sono in comune le forme, i mezzi tecnici, ma non certo i contenuti; ovvero, questi strumenti vengono applicati a realtà che non potrebbero essere più diverse su tutti i fronti: etnico, storico, geografico ecc. Ognuno usa gli stessi mezzi del vicino, ma con questi effettua un suo scavo particolare su uno strato socio-culturale che resta, malgrado tutto, occidentale o asiatico o africano.
Gli interventi degli artisti asiatici sono stati da lei indicati secondo due categorie: “registrare la pelle del mondo” e “cambiare la pelle del mondo”. Perché la scelta di questa dialettica?
In ciò sta appunto quella osservazione “in tempo reale” di cui parlavo sopra, infatti in questi ormai quasi dieci anni delle Officine si è compiuta una vasta oscillazione tecnico-stilistica, nella ricerca mondiale (ricordo che il mio metodo critico ama particolarmente queste oscillazioni bipolari da un estremo all’altro). Quando ho iniziato con Officina Italia, il panorama era dominato dal triangolo foto-video-installazioni, ovvero ci trovavamo nel pieno del clima cosiddetto post-concettuale, contrassegnato dal trionfo dei mezzi extra-artistici e a forte connotazione tecnologica. In quel momento le virtù opposte della manualità e della decorazione apparivano del tutto minoritarie. Ma poi col passare degli anni queste si sono ingrossate, è nato quello che ho definito un nuovo-nuovo Pattern Painting, anche per rendere omaggio a Holly Solomon, che ci ha lasciato quando già era in atto Officina America, cui aveva tanto contribuito. Ora mi sembra che questa prospettiva abbia guadagnato ancor più terreno, da qui la dialettica tra le due grandi vie, misurata sul continente asiatico, ma credo che responsi non molto diversi verrebbero se qui e ora rifacessi le Officine italiana, europea e nordamericana. Da una parte, continua l’affermarsi di strumenti particolarmente adatti a “registrare” l’esistente, nei suoi portati pubblici e privati, sociali ed individuali; ma dall’altra, c’è una controffensiva dei mezzi manuali-artigianali, che però traggono qualche buon frutto dal primato tecnologico precedente; così la pittura si pratica soprattutto sulle pareti, non respingendo la dimensione “ambientale” ormai raggiunta dall’arte; e il video non risulta più da una paziente presa con telecamera, bensì attraverso le tecniche di animazione del cartoon.
Ripercorrendo una modalità ben consolidata già con le altre Officine i lavori degli artisti non saranno distribuiti secondo la nazionalità bensì il percorso espositivo si sviluppa in stretta aderenza alle peculiarità delle diverse sedi. Cerchiamo di ripercorrere brevemente le tappe dell’esposizione. Cosa ci sarà alla Galleria d’arte Moderna di Bologna, prima sede di Officina Asia? E a seguire a Cesena e a Rimini?
Sarebbe francamente ridicolo se, dopo aver inneggiato alla nuova dimensione globale della ricerca, andassi poi a frammentarla in singole aiuole nazionali, come per scimmiottare i padiglioni dei Giardini della Biennale di Venezia. Mi sembra che, almeno per grandi aree continentali, gli artisti debbano mescolare i loro apporti. E dunque, il criterio che seguo non è certo di suddividere per branchi le mie pecorelle, bensì di dare a ciascun artista quello che gli serve per esprimersi. Così, la GAM di Bologna, articolata in stanze, è il luogo naturale destinato ad ambienti che si installano nello spazio aperto ma hanno anche bisogno di attaccare qualche pezzo alle pareti,o se non altro di animarle con le proiezioni video; le due sedi di Cesena risultano adatte ai grandi dipinti, dato che presentano vaste pareti naturali o artificiali. Infine Rimini, che ci dà lo spazio aperto del maestoso salone al primo piano dell’Arengo, è il luogo ideale per le installazioni capaci di reggersi da sole a dominare lo spazio.
Officina Asia è la prima officina ad aprire ad una dimensione planetaria. Ci saranno prossime officine? Quali aree geografiche le interesserebbe investigare?
Mi sembra logico che, se avrò soldi e energie, le prossime puntate debbano concludere questa escursione per aree continentali andando ad esaminare anche l’Africa e l’Oceania.
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officina asia alla galleria d'arte di bologna è stupenda! è la sede più bella!
che dire...finalmente una bella mostra alla gam.
ciao, fabio
Ho visitato la mostra a Rimini, alcuni lavori molto interessanti, altri magari meno. Visitatela, non dico altro.
Mi ha sorpreso davvero piacevolmente questa mostra,... la sensazione di un'altra dimensione,.... la ricerca del vedo e non vedo... e soprattutto nel NON dare per scontato ciò che ci circonda. Bella, veramente bella!!!
concordo con agostino.
officina asia è senza dubbio la migliore delle officine. da nn perdere!!!! bello bello anche il catalogo!
ciao a tutti. fabio
è una mostra veramente sorprendente. gli orientali sono così distanti e allo stesso momento così vicini a noi. il giudizio migliore va a coloro che sono riusciti a dare contenuti nuovi pur rifacendosi alla tradizione, alla pazienza, alla calma del lavoro manuale.
PS: chi non è stato all'inaugurazione itinerante si è perso sensazioni uniche.
davvero una bella mostra, magica...