“
Anche le donne ‘bucano’ i quadri”. E non c’è incipit più
azzeccato. Si parla delle prime battute del testo di Flaminio Gualdoni nel
catalogo della mostra, mutuate da un articolo apparso sul
Corriere Lombardo il 31 dicembre del 1959.
Da un lato, infatti, si fa leva su quella tendenza al
distaccamento dalla tela – seppur con il sarcarsmo dell’ignoranza -, dalla
superficie bidimensionale che è emanazione diretta di
Lucio Fontana, e dall’altro si chiarisce, come
fosse cosa strana, che l’artista in questione è di sesso femminile.
Naturale per
Dadamaino (Milano, 1935 – 2004) principiare
con i
Volumi,
ovvero con buchi dalla forma tondeggiante che aprono oltre la tela, per lei che
ha sempre aborrito la materia in favore dell’immaterialità. Un percorso che,
dall’amicizia con
Piero Manzoni, prosegue attraverso l’esperienza di Azimuth, la
frequentazione di ambienti sperimentali quali il Gruppo N, e che sfocia in una
lunga seria di mostre internazionali.
La tela, nel frattempo, dopo aver subito le “aggressioni”
che le hanno lasciato segni evidenti, ha lasciato il posto alla plastica
fustellata a mano dei
Volumi a moduli sfasati. Queste opere nascono per
inseguire il movimento, agiscono sulla percezione, modificandone i codici: la
profondità è ottenuta attraverso una sequenza di forature su piani
incongruenti.
Con l’interesse per gli inganni ottici, poi, arrivano gli
Oggetti
ottico-dinamici,
che alla ricerca sulle forme e sulla loro composizione aggiungono il colore,
sposandosi con le teorie della psicologia cognitiva.
In questo modo si conclude
una prima fase sia del cammino di Dadamaino che del percorso espositivo.
Il passo successivo è una fuga in avanti, nel tempo e
nello spazio, verso
I segni della mente (1990), opera che sancisce l’invasione
dell’ambiente che la ospita, nella realizzazione di quel dinamismo finora
soltanto evocato. Il tratto sicuro e paziente costruisce le onde sismiche che
delineano la composizione; punto dopo punto, il moto elastico compie il suo
tragitto di allungamento e compressione sul poliestere e nella stanza.
Il ciclo delle
Costellazioni con-segue nell’allestimento e,
insieme a
Passo dopo passo (1988), indaga il rapporto con il disegno e con la china,
soffermandosi sulla precisione nitida di linee e punti e sul gradiente poetico
di questi lavori nella ricerca di un modello naturale.
A concludere,
I fatti della vita, installazione composta da
centinaia di fogli di carta “
abitati da segni di cui avverti il tempo
concentrato e insieme totalizzante dell’esecuzione iterativa, un horror vacui
che non tiene dell’estetico ma della plenitudine dell’avvertirsi al fare e al
vivere”.
Quella che si offre alla Galleria Spazia è una carrellata
di singoli punti nodali tratti a dovere dalla lunga carriera dell’artista
milanese. “Pezzi storici”, come usa chiamarli in gergo, e opere più recenti che
le sono valse la partecipazione alla Biennale di Venezia sono accostati con
maestria. Tanto che, a volte, capita di sentirsi dentro un museo.