29 ottobre 2010

fino al 5.XII.2010 Monika Bulaj Bologna, Museo Ebraico

 
Frammenti di ebraismo rintracciati nel mondo. Nelle vesti, nei gesti rituali, la tenacia di legami antichi. Fotografie dalla Polonia all’Italia, passando per Israele...

di

Per la copertina della brochure
della mostra, l’immagine di un adulto che tiene per mano un bambino: camminano
sull’asfalto assolato, ben definite sono le ombre. Siamo in Israele, a Kiryat
Sefer, presso “La città del libro”. La didascalia spiega: “Una fortezza di
cemento in mezzo al deserto, dedicata esclusivamente alla lettura del Talmud
”. Si vedono solo i segni
geometrici del parcheggio e l’uomo ha con sé una busta di plastica. La
modernità – così è ormai evidente oggi, in ogni religione monoteista – non ha
emarginato, come semplice memoria da conservare per affetto familiare,
tradizione e intima spiritualità, quanto giunge dal passato: fortissima
piuttosto è l’esigenza di definire la propria identità, singolare e plurale,
attraverso la religione, e proprio attraverso precisi costumi, gesti e
preghiere.

Nelle immagini dal mondo ebraico
di Monika Bulaj
(Varsavia, 1966; vive in provincia di Bergamo) pare di cogliere questo
sentimento di adesione alle origini ovunque nel mondo, in Polonia, in Turchia, in
Azerbaigian, oltre che naturalmente in Israele. Che pure è terra anche laica;
preferisce però Bulaj soffermarsi, con la macchina fotografica, più volentieri
su Me’a Sharim, il quartiere ortodosso di Gerusalemme, con la rigorosa obbedienza
alla Legge e con tutti, anche le donne e i bambini, con i segni dell’appartenenza
negli abiti, nei capelli e cappelli.

È vero che il popolo ebraico è
sopravvissuto nei secoli proprio per la volontà di restare fedele a precise
modalità di comportamenti, preghiere, rituali? Indossare la kippà (la
“papalina”), il talet (il mantello che si veste durante le preghiere), i
teffilin (le strisce avvolte intorno al braccio, quasi che il corpo possa
diventare scrittura)? Osservando le foto di Monika Bulaj verrebbe da pensare
così, e bisogna leggere le didascalie per capire dove ci si trova nel mondo per
quegli scuri cappelli vicini, le letture religiose e le danze.

Sono ebreo, ma laico”, si sente a volte dire. O anche:
Sono laico, ma ebreo”. Una sorta di adesione necessaria, al di là dell’aspetto religioso.
Memoria di lingua e famiglia, spesso di persecuzioni che non possono essere
dimenticate: testimonianza di presenza e continuità. 

Con Il viaggio di Elia sono ancora quelle kippot, quei
pe’otim (i riccioli a lato del viso degli uomini che il Levitico indica di non tagliare) a creare
unità, legami di vicinanza, pur in Paesi lontanissimi.

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dal 5 settembre al 5 dicembre
2010

Monika Bulaj – Il viaggio di
Elia

Museo Ebraico

Via Valdonica, 1/5 (zona via
Zamboni) – 40126 Bologna

Orario: da domenica a giovedì
ore 10-18; venerdì ore 10-16

Info: tel. +39 0512911280; fax
+39 051235430; info@museoebraicobo.it;
www.museoebraicobo.it

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