Ferrara mostra l’altra faccia del Rinascimento. Nell’immaginario di molti, “pittura rinascimentale” evoca le figure austere e solide di
Masaccio, le rigorose prospettive intrise di luce di
Piero della Francesca, il fascino sottile del tonalismo veneziano o ancora la passione antiquaria di
Mantegna. In ogni caso, una pittura ariosa, in cui la luce circola, crea ombre e chiaroscuri; i corpi hanno sostanza di verità, si muovono in uno spazio verosimile e lo occupano. Ebbene, c’è un’altra faccia del Rinascimento italiano, che ha in sé queste componenti “moderne” ma le filtra attraverso una cultura tardogotica più persistente che altrove. A Ferrara, la corte degli Este è uno dei centri di questo Rinascimento “diverso”, in cui convivono la linea nervosa e la fantasia eccentrica di
Cosmè Tura (Ferrara, 1433 ca.-1495) e il più pacato plasticismo di
Francesco del Cossa (Ferrara, 1436 ca. –Bologna, 1478),
i due principali protagonisti di quella stagione artistica, che la mostra illustra con opere su tavola, sculture, oreficerie, pagine miniate, medaglie e disegni.
L’esposizione fa perno sul ventennio della signoria di Borso d’Este (1450–1471), durante il quale si afferma la particolare cifra stilistica che caratterizza quella che Roberto Longhi ha battezzato per sempre “
officina ferrarese”. Si comincia, però, prima di Borso, all’epoca del fratellastro Lionello, fine umanista, cultore di arti e lettere; raffinatissimo, ancora molto legato al gusto cortese che predilige il disegno sottile, l’attenzione ai dettagli, i gesti eleganti. Non a caso è
Pisanello l’artista prediletto. In mostra, le sue celebri medaglie e, da non perdere, lo straordinario disegno
Busto di uomo anziano a braccia conserte che, con un delicatissimo tratto a matita, ottiene una potente resa fisiognomica.
Poi le idee si mescolano, le suggestioni si sovrappongono e agli echi cavallereschi si fondono le novità di
Donatello, Piero della Francesca, Andrea Mantegna. Ecco convivere sulle pareti di Palazzo dei Diamanti
San Giorgio e il Drago di
Michele Pannonio, un fondo oro in cui cavallo, cavaliere e drago sono definiti da una linea di contorno concitata e i rapporti proporzionali tra le figure sono incerti,
e la
Musa Euterpe (di un anonimo pittore ferrarese) con un viso angelico da putto mantegnesco, poggia sicura su un basamento che ha la solidità della terza dimensione.
Non è facile riconoscere suggestioni rinascimentali nella pittura di Cosmè Tura: le figure hanno profili taglienti, una mimica concitata, espressioni stravolte (Longhi parlava di un’umanità con le “
giunture di diamante”), la natura è pietrosa e inospitale, i dettagli decorativi sovrabbondanti. L’effetto della celebre
Pietà del Correr è surreale, il corpo di Cristo disarticolato e deformato, la linea si contorce nei panneggi. Ma il sarcofago sul quale appoggia la Madonna con la sua solida semplicità e la precisa definizione prospettica parla un linguaggio diverso. Le deformazioni si attenuano nella pittura di Francesco del Cossa, la linea si distende, i volumi acquistano solidità. Nel
Ritratto di uomo, lo scorcio della mano sfonda il piano della tela senza convincere pienamente.
La mostra prosegue a Palazzo Schifanoia, dove si ammira il ciclo di affreschi voluto da Borso, sintesi di esoterismo, astrologia, cultura prospettica e mondo cortese.
In meno di un secolo, Ferrara avrebbe prodotto un altro capolavoro di esotiche fantasie,
L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Poi, strano destino di questa città, dopo secoli di silenzio sarebbe ritornata alla vita artistica con le piazze metafisiche e immobili di
Giorgio De Chirico.