“Quello che ci interessa è l’adesso”. Partendo da questo principio Francesca Alinovi allestì nell’ ’83 una piccola esposizione in cui erano raccolte le opere di alcuni suoi cari amici. La mostra venne chiamata emblematicamente “Ora!” e, a posteriori, il critico Marco Meneguzzo riconosce alla Alinovi un’intuizione dell’azzeramento del concetto di storia legato ad una realtà divenuta inafferrabile e un’attenzione al vissuto individuale, che diverrà la chiave di lettura dell’arte negli ultimi decenni.
Il Premio Francesca Alinovi, istituito dopo tre anni dalla sua scomparsa, è un omaggio al suo slancio e alla posizione di frontiera che ha saputo assumere nella ricerca artistica, soprattutto per quanto riguarda il suo impegno alla causa della convergenza delle arti.
L’elenco dei vincitori conferma il rispetto dei caratteri istitutivi del premio. Si incontrano figure che, pur non avendo fatto della pittura il baricentro della propria attività, non hanno esitato a farne un’avventura dai connotati ampi e metamorfici, così da investire la vita, il costume e l’ambiente. Sono particolarmente rappresentativi Luigi Ontani, premiato nel 1986, Dennis Santachiara (1988) e Studio Azzurro (1995).
Quest’anno il vincitore, proclamato il 27 Novembre durante la serata dei Premi del Patalogo a Milano, è Luca Vitone. La Premiazione è avvenuta al GAM di Bologna il 12 Dicembre. La consegna del Premio, a cui hanno partecipato Franco Quadri, Roberto Daolio e Renato Barilli, è stata accompagnata da una conferenza del critico Marco Meneguzzo dal titolo “Dare forma al mondo?”, in cui sono stati sottolineati gli aspetti attuali della ricerca artistica. In un realtà poliedrica e in continuo cambiamento, è impossibile trovare un modello stabile: la produzione artistica assegna dunque un primato al mondo sul codice di rappresentazione del mondo stesso. Gli artisti partono dall’individuo, da un racconto di sé che non deve essere convertito in qualcosa di universale, riducendo la mediazione al minimo. Luca Vitone, con l’opera esposta (“Mapping”, 1998), racconta Milano attraverso l’idealizzazione dello spazio rappresentata dalle mappe (concettuale) su cui sono stati segnati alcuni luoghi di incontro e punti di riferimento per gli extracomunitari, evidenziando una dimensione comunicativa che lo avvicina alla definizione di “artista antropologo” data dal padre dell’arte concettuale, Joseph Kosuth.
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Alessandra Bergamaschi
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