E le stelle stanno a guardare, in questa mostra di
Gilberto
Zorio (Andorno
Micca, Biella, 1944; vive a Torino). Sono stelle sospese, di cristallo, di
cuoio, di metallo; simboli, riferimento universale, guida al cammino della
mostra e dell’uomo in generale. Stelle a cinque punte, ora incandescenti, ora
nate da giavellotti.
E poi, le canoe dipinte di nero, come strumento di
conquista, di scoperta, che si contrappongono alle stelle. Ma in realtà non vi
si contrappongono affatto, poiché sono anch’esse sospese. Una di queste, in
alto, ruota per effetto di un meccanismo ad aria compressa, che emette un
sibilo continuo. Il rito (infantile) si compie: tutti col naso all’insù.
All’ingresso, una
Macchia (
III) di cuoio nero, sorretta da corde
come una ragnatela, accoglie il visitatore in una grande scenografia, dove
l’ambiente gioca un ruolo fondamentale. Una banda di rame arcuata come un
arcobaleno, come ponte di vita, assorbe una linfa verde e azzurra da due
Crogiuoli; altrove, lunghi giavellotti in
acciaio formano o accompagnano le stelle, come la grande opera
Stella di
giavellotti.
Sono l’altra faccia dell’energia,
del calore emanato dalle dozzine di lampade che creano altre installazioni,
della sicurezza che le stelle trasmettono come riferimento cosmico. Sono
l’aggressività, la forza, la morte, il freddo. E, come in un capitolo di Harry
Potter, ci sono dieci alambicchi di fragile vetro nella grande
Stella Pirex, a evocare energia e vita, anche
quando le stelle si dovessero spegnere.
Sono 39 opere in un percorso trasversale, che va dal 1996
al 2009; opere che evocano bellezza, o possibilità nuova, come il grande
Letto di ferro conservato all’Ivam di
Valencia. Zorio, fra i grandi protagonisti dell’Arte Povera,
ha esposto nei musei e nelle
principali gallerie del mondo. “
Parlo a me stesso, mi ripeto cosa manca,
cosa devo fare”:
così risponde l’artista, accolto da un applauso a scena aperta, quando gli si
chiede a cosa pensa quando lavora. Affascinato dai processi chimici, fisici,
alchemici, dalla trasformazione delle cose, prosegue: “
Parto da un progetto,
ma quasi sempre
quello che nasce è altro da ciò che avevo immaginato”
.È il farsi di un’arte concettuale, dell’arte del nuovo, di
quello spirito cinquecentesco che ricerca, confronta, separa, misura, disegna,
inventa. Laddove le stelle, come le canoe, assumono un’identità precisa fra le
cose, fra gli oggetti che accompagnano l’umana avventura. Disposti lungo il
percorso delle sorprendenti installazioni, ogni tanto entrano in scena fili
incandescenti che si caricano di una valenza che rimanda all’energia, ma anche
alla forza, all’imprevisto in agguato. All’elemento inaspettato che scuote la
vita e il visitatore.
Nelle sale del MAMbo, la luce, a intervalli, si spegne;
crea pathos e permette di vedere meglio
È Utopia, la Realtà, è Rivelazione: parole fosforescenti, sospese. E
il
Pugno incandescente, che pare indicare la strada, sospeso fra due lampade accese. Uno
spettacolo da non perdere.
Visualizza commenti
E' bello vedere come alla luce delle dinamiche attuali il lavoro di Gilberto Zorio ammicchi ad una certa freschezza. Segno,evidentemente, di una sua robustezza. Ci vedo un certo informale-spirituale-azionistico, ripreso dalle nuove genereazioni ma che il nostro faceva negli anni 60.
Zorio, sempre il mio preferito.
Bella la recensione.