Trasferitosi a Parma, per frequentare l’Accademia, a 18 anni abbandona tutto per seguire la causa della liberazione partigiana. Torna in città solo a guerra finita, nel 1945, ma quest’esperienza segnerà lui e la sua arte per tutta la vita. Per frequentare Brera va a Milano. Continua a dipingere: paesaggi, le rive del Po, campagne intristite dalla neve, la scultura, ma soprattutto la riscoperta della montagna che aveva conosciuto durante l’incubo della guerra. Siamo negli anni di Sesta di Cirniglio, un paese minuscolo dove ottiene di poter affrescare i 380 metri quadri di muro. Dopo le tele è alla ricerca di grandi spazi: li trova e vi traspone gli uomini di strada come astanti della Crocifissione. Nel 1963 termina il lavoro.
A 26 anni dalla sua morte sono esposte cinquantatre opere inedite di Walter Madoi che gli eredi hanno donato al Comune di Parma. Una parte significativa della collezione è fornita dai bozzetti per la vetrata della chiesa della Sacra Famiglia di Torino cui si aggiungono le figure che rappresentano la Contestazione, opere nelle quali, come anche nel dipinto Caino e Abele, Madoi registra le contraddizioni del suo tempo con l’intento di superarle storicizzandole. Accanto alle opere più impegnate sono esposti anche dipinti che dimostrano la sua attenzione allo studio della figura umana, ritratti tipizzati di una ricca antologia di soggetti accomunati dalla costante osservazione del vero. Perché, pur essendo la pittura di Madoi una pittura di getto, indipendentemente che si tratti di una protesta, di un dolore o di un campo di fiori, in realtà essa è frutto di un attento processo di analisi e di valutazione. Non c’è nulla di ciò che ha registrato che non sia stato attentamente vagliato. La forza della sua pittura è la risposta neoromanica alle tendenze dell’arte contemporanea, buttando l’occhio ad italiani come Carrà e Sironi e alla poetica del sacro del francese Roulault. Un sacro ove accanto alle figure mistiche il Madoi laico, colloca, senza compiacimenti artificiosi, figure terrene, umane, consapevoli dei loro limiti, incapaci di romperli, fermate nel tempo. Immagini che trasmettono inquietudine, atterriscono. Eppure la loro disperazione non è mai totale, sempre nei loro sguardi c’è la forza del riscatto, il residuo di un’umanità consapevole.
Francesca Fortunato
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