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06
maggio 2009
fino al 7.V.2009 Giovanni Ozzola Bologna, Fabio Tiboni
bologna
L'immagine, mediazione estetica tra psiche ed esperienza sensibile. L'eidos del non-luogo, cristallizzato dalla soggettività dello sguardo. La luce, infinita manifestazione dell'essere. In una mostra video-fotografica...
Il confine tra coscienza noumenica e realtà fenomenica, il gioco dei limiti basato sul contrasto luce-tenebra, la visione prospettica dell’opera d’arte che comprende il contesto architettonico dello spazio espositivo. L’obiettivo fotografico di Giovanni Ozzola (Firenze, 1982) si concentra sull’esperienza esistenziale del passaggio, del limite, del non-luogo. In una personale che esplora – attraverso cinque ritratti fotografici e un breve video realizzato per l’occasione – remoti sentieri della psiche e della memoria.
Una luce morbida, calda, indefinita, indiretta attraversa soavemente la cieca oscurità. Lo sguardo contemplativo di Ozzola ritrae la levità della luce naturale riflessa, filtrata dai colori pastello di lunghe tende che ornano porte e finestre. Brevi fotogrammi video ritraggono raggi solari che valicano una serie di finestre, proiettandosi sulle mura dello studio dell’artista. Ombre e sfumature d’immagini senza tempo delineano delicati stadi emozionali della psiche.
La luce, prima forma corporalis, principio fisico originario da cui tutti gli enti derivano la corporeità, secondo la metafisica della luce teorizzata dal filosofo Roberto Grossatesta – ma soprattutto primo atto creativo (fiat lux) secondo la Genesi -, costituisce da sempre l’oggetto principale di ricerca nel percorso artistico del fotografo toscano. La riflessione esistenziale scaturisce dal buio di uno spazio chiuso, di una stanza, metafora della dimensione individuale, di uno sguardo interiore velatamente proteso verso il mondo sensibile.
In questo luogo psichico più che fisico, dove avviene più facilmente il dialogo con l’interiorità, l’assenza dello sguardo altrui non destruttura la percezione interna dell’identità e rende la mente più pronta alla visione d’insieme del reale. Proust rende perfettamente questo stadio percettivo e conoscitivo con la sua poetica della memoria nella monumentale opera letterario-filosofica La ricerca del tempo perduto: “Capii allora che mai Noè potè vedere il mondo così bene come dall’arca, nonostante fosse chiusa e che facesse notte in terra”.
La luce rappresenta altresì il principio simbolico dell’alterità, del confronto, della relazione col mondo esterno. Ozzola ritrae il passaggio da una dimensione psichica all’altra, avvalendosi della luce nella sua connotazione più lieve ed evanescente.
Il concetto della transitorietà è commentato da Elisa Del Prete, curatrice della mostra: “Ogni luogo ha la sua soglia, essa stessa è un luogo, o un non-luogo se si preferisce, in cui avviene la relazione tra sé e l’altro. Essa determina un confine di diversità, ovvero l’individuazione di un’alterità e la necessità di un’interazione, di uno scambio, di un passaggio”.
Una luce morbida, calda, indefinita, indiretta attraversa soavemente la cieca oscurità. Lo sguardo contemplativo di Ozzola ritrae la levità della luce naturale riflessa, filtrata dai colori pastello di lunghe tende che ornano porte e finestre. Brevi fotogrammi video ritraggono raggi solari che valicano una serie di finestre, proiettandosi sulle mura dello studio dell’artista. Ombre e sfumature d’immagini senza tempo delineano delicati stadi emozionali della psiche.
La luce, prima forma corporalis, principio fisico originario da cui tutti gli enti derivano la corporeità, secondo la metafisica della luce teorizzata dal filosofo Roberto Grossatesta – ma soprattutto primo atto creativo (fiat lux) secondo la Genesi -, costituisce da sempre l’oggetto principale di ricerca nel percorso artistico del fotografo toscano. La riflessione esistenziale scaturisce dal buio di uno spazio chiuso, di una stanza, metafora della dimensione individuale, di uno sguardo interiore velatamente proteso verso il mondo sensibile.
In questo luogo psichico più che fisico, dove avviene più facilmente il dialogo con l’interiorità, l’assenza dello sguardo altrui non destruttura la percezione interna dell’identità e rende la mente più pronta alla visione d’insieme del reale. Proust rende perfettamente questo stadio percettivo e conoscitivo con la sua poetica della memoria nella monumentale opera letterario-filosofica La ricerca del tempo perduto: “Capii allora che mai Noè potè vedere il mondo così bene come dall’arca, nonostante fosse chiusa e che facesse notte in terra”.
La luce rappresenta altresì il principio simbolico dell’alterità, del confronto, della relazione col mondo esterno. Ozzola ritrae il passaggio da una dimensione psichica all’altra, avvalendosi della luce nella sua connotazione più lieve ed evanescente.
Il concetto della transitorietà è commentato da Elisa Del Prete, curatrice della mostra: “Ogni luogo ha la sua soglia, essa stessa è un luogo, o un non-luogo se si preferisce, in cui avviene la relazione tra sé e l’altro. Essa determina un confine di diversità, ovvero l’individuazione di un’alterità e la necessità di un’interazione, di uno scambio, di un passaggio”.
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Ozzola a Roma da Loto Arte
cecilia pavone
mostra visitata il 24 aprile 2009
dal 28 marzo al 7 maggio 2009
Giovanni Ozzola
a cura di Elisa del Prete
Fabio Tiboni Arte Contemporanea
Via del Porto, 50 (zona Mambo) – 40122 Bologna
Orario: da mercoledì a venerdì ore 14-20; sabato ore 10.30-20; domenica su appuntamento
Ingresso liberoCatalogo-poster disponibile
Info: tel./fax +39 0516494586; mob. +39 3357586078; info@fabiotiboni.it; www.fabiotiboni.it
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