Viene subito da pensare a un concetto irrimediabilmente astratto quando ci si riferisce all’eternità.
Fotografia Europea, attraverso numerose ed eterogenee esposizioni – personali, produzioni e progetti, come sempre dislocati nei luoghi storici della città – ha cercato invece di concretizzare e trasformare una categoria del pensiero attraverso l’immagine fotografica e l’istante catturato dallo scatto, attuando una riflessione che ha portato alla visione di un tempo eterno, codificato in diverse accezioni. Una temporalità
altra, presenza di ciò che permane eternamente, ripresentandosi ogni volta in forma diversa.
La rassegna parte con l’omaggio a un grande maestro e poeta della fotografia,
Josef Saudek, dal realismo decisamente romantico, che coglie la vita segreta delle cose di tutti i giorni. Le sue nature morte in bianco e nero – bicchieri, posate, vetri smerigliati bagnati di pioggia, immagini da meditazione – trattano lo spazio come se fosse tempo trattenuto e dilatato, dunque eterno.
Decisamente attuale è l’interpretazione dell’eternità da parte dell’artista e semiologo
Joan Fontcuberta, che coi suoi
Googlegrammi (fotografie ricostruite con un programma di foto-mosaico connesso a Google, che si compone di 10mila pixel ricavati da parole chiave prese dal motore di ricerca) si pone il problema di verificare fino a che punto il concetto di memoria universale legato a Internet sia distante dal convertirsi in realtà.
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Se qualcosa vuol diventare immagine non è per durare, è per meglio sparire”, scriveva
Jean Baudrillard, grande teorico postmodernista, in mostra con una cinquantina di fotografie e un video narrato, in cui rivela l’assenza della fisicità del mondo, affermando che la peggior violenza fatta all’immagine è proprio quella estetica.
Eterna è pure la rievocazione tutta al femminile di
Françoise Huguier, che racconta la vita coatta dei
kommunalki, gli appartamenti popolari di San Pietroburgo dove le persone – ora ritratte come fantasmi – sono state condannate a vivere dopo la Rivoluzione d’ottobre. Una mostra che non a caso è installata, come in un gioco di specchi, negli appartamenti vuoti accanto alla Galleria Parmeggiani.
Sempre tra i progetti, spiccano quelli di
Marco Signorini, che ritrae le coste di Lanzarote applicando uno straniante filtro giallo, che riporta a una visione primordiale della terra, mista a una possibile versione futura. E il progetto
Clear Light, dove 55 fotografi italiani – tra i quali non mancano giovani già affermati come
Claudio Gobbi – espongono un’opera significativa donata al Dalai Lama, una per ogni anno d’esilio, che esemplifica il concetto buddista di “chiara luce” con uno spaccato del percorso di ciascun autore.
Degna di particolare nota è l’installazione di
Maria Papadimitriou, per quanto riguarda le produzioni originali, che costruisce una mappa emotiva sui concetti di tempo, natura e conoscenza attraverso interviste ad alcuni bambini in età scolare e prescolare. Un’eternità come flusso e ciclicità vista con gli occhi dei piccoli, ripresi da una documentazione video, accanto a una giungla di piante di serra, tubi fluorescenti che compongono scritte, una scrivania e una pila di libri di seconda mano.
Inquietante è l’eternità ambigua di
Elena Arzuffi che, nel progetto dedicato al quartiere Gattaglio di Reggio Emilia, esprime l’idea di un abitante di cui non sappiamo nulla, ma che si offre allo sguardo con una contraddizione visiva destinata a ripetersi all’infinito. “
Disponibile in ogni istante”, come afferma Elio Grazioli nel saggio introduttivo al catalogo, “
ad essere colta, almeno ancora una volta, nella sua finora inosservata novità”.