Ravenna felix, isola felice in un’Italia infelix semidistrutta dalla guerra greco gotica, caduta in buona parte in mano ai barbari, decaduta da fiore all’occhiello dell’Impero a mera terra di conquista. Questa l’immagine che, secondo i curatori della mostra Felix Ravenna. La croce, la spada, la vela: l’alto Adriatico nel V e VI secolo, possedeva la città nel periodo tardo delle invasioni, generalmente considerato -ma il giudizio viene oggi rivisto- come il tenebroso inizio di un buio e oscurantista Medioevo. Per dimostrarlo Carlo Bertelli e Andrea Augenti, entrambi illustri studiosi dell’Età di Mezzo, hanno radunato, nelle sale del Complesso ravennate di San Nicolò –in attesa della riapertura del Museo Diocesano– una piccola ma notevole serie di reperti archeologici, tra i quali spiccano gli inediti mosaici provenienti dalla basilica di San Severo a Classe, da poco eccellentemente restaurati grazie alla Fondazione RavennAntica, cui si deve anche l’esposizione.
Sembra proprio tutto oro quel che luccica. La storia della città, del resto, parla chiaro. Divenuta capitale dell’impero nel 402, Ravenna si trasformò in un cantiere con la costruzione nel giro di poco più di un secolo e mezzo di tutti i suoi più celebri monumenti. Caduto l’Impero d’Occidente nel 476, conquistata dai Goti di Teodorico, ripresa dai bizantini nel 540 durante una terribile guerra che prostrò l’Italia intera, la città, già propensa per posizione (lo dicono anche gli storici coevi Cassiodoro e Agnello) ai traffici marittimi con l’alto Adriatico, l’Africa e il vicino Oriente, Ravenna scalzò per importanza Aquileia, facendo a gara con le altre città adriatiche -Grado, Pola, Parendo- nella realizzazione di edifici ecclesiastici sempre più ampi e ricercati.
Ed ecco allora il Battistero Neoniano e degli Ariani, il mausoleo di Galla Placidia, le chiese di Sant’Apollinare Nuovo e in Classe e di San Vitale.
La croce, la spada, la vela cui fa riferimento il sottotitolo della mostra stanno a significare per Ravenna dunque, il trionfo del Cristianesimo (con la città centro propulsore, come detto, anche a livello artistico al di qua e al di là dell’Adriatico), la militarizzazione del territorio resasi necessaria per fronteggiare i pericoli visto il collasso del sistema difensivo romano, e il dominio dei commerci per mare, solcato da una sponda all’altra da possenti navi onerarie cariche di vino, di olio, di marmo e di altre merci di lusso.
L’esposizione raccoglie i tesoretti provenienti dagli scavi di Rimini, Isola Rizza e soprattutto Classe: quest’ultimo, rinvenuto nel 2004 e composto da sette cucchiai più una coppa d’argento, è un eloquente esempio del grado di raffinatezza dell’élite cittadina, in questo caso ecclesiastica. Notevoli sono poi alcuni piatti d’argento finemente cesellati (da Cesena e Castelvint), le gemme e le sculture: lastre di marmo, capitelli, sarcofagi e acquasantiere, ma anche una statua acefala che rappresenterebbe l’imperatore Teodosio oppure suo figlio Onorio. Restituiscono invece aspetti della vita quotidiana ami da pesca, dadi con pedine da gioco in osso, lucerne, monete, coltelli e accessori per il vestiario, nonché varie armi. E se molto suggestiva appare la ricostruzione (perfetta) di un magazzino del porto di Classe distrutto da un incendio nel VI secolo e riemerso tre anni fa con le sue anfore di vino ed olio, i pezzi più stimolanti restano comunque i mosaici: pochi (solo 9), ma sufficienti per dare un’idea delle capacità tecniche degli artigiani e della ricchezza delle classi dirigenti dell’epoca.
La mostra, ben allestita, è senz’altro da vedere, ma forse più utile ancora è il catalogo, edito da Skira, che grazie ai puntuali saggi (tra cui quelli sugli scavi di Classe e sull’ormai celebre tesoretto) permette di comprendere l’affascinante mondo ravennate al suo acme. Conquistata dai Longobardi alla metà dell’VIII secolo, la città iniziò una lenta decadenza. Dopo aver assoggettato (774) la Longobardia e quindi preso anche Ravenna, Carlo Magno donò alla città un pulpito, oggi in Duomo: l’iscrizione dimostra, come scrive Bertelli, “quanto i lapicidi fossero nel frattempo imbarbariti, mentre da Ravenna continuavano a partire, verso Aquisgrana, i codici che avrebbero determinato la rinascita carolingia”.
elena percivaldi
mostra visitata il 3 aprile 2007
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