È la ricerca sui materiali, in particolare i metalli, il filo rosso che lega le ultime mostre organizzate da Niccoli. Materiali che si presentano sotto svariate forme, dalle sculture alle installazioni a parete, la gran parte realizzate site specific.
Attuale protagonista è
Sergio Fermariello (Napoli, 1961). Dopo numerose personali, oltre alla partecipazione alla 45esima Biennale di Venezia e all’acquisizione di alcune opere presso collezioni pubbliche e private, tra cui il Museo di Capodimonte, l’artista partenopeo approda a Parma con lavori che stanno in bilico tra il presente e il passato più arcaico, tra il figurativo e l’informale.
Poche grandi opere, che presentano il protagonista delle sue ricerche: l’antico guerriero, dotato di scudo e lancia, replicato su vari supporti, dall’acciaio satinato al cor-ten, al cartone. Piccole o grandi figure a stento riconoscibili, che sconfinano in forme scomposte, dove il vuoto e lo spessore dell’opera assumono un ruolo basilare.
Il recupero del modello dei graffiti paleolitici, di norma nascosti in profonde caverne e in luoghi inaccessibili, costituisce per Fermariello il mezzo d’espressione di una poetica che da un lato si collega alla scrittura concepita come traccia umana, dall’altro riprende la memoria degli antenati, di un passato remoto re-interpretato attraverso ricordi e simboli che si pongono in opposizione, a detta dell’artista, a tante icone contemporanee troppo sfruttate e “
disumanizzate”.
Se i riferimenti formali dei dipinti e delle installazioni possono esser rintracciati nella produzione di autori quali
Keith Haring o
Giuseppe Capogrossi, l’originalità dell’opera di Fermariello sta nella ripetizione ossessiva di un singolo soggetto, nella scelta della monocromia in pittura e della terza dimensione nell’utilizzo dei metalli e, soprattutto, nella ricerca di simboli dal forte impatto. Immagini che, nella rievocazione dell’uomo arcaico, mettono in discussione l’oggi e invitano al recupero di ritualità e sacralità perdute.
Indubbiamente i lavori di Fermariello non mancano d’una solida coerenza e di un senso storico che non sfugge alla percezione di chi osserva. E che “
ci nobilita e ci raccorda a un passato disseminato di immagini e di impronte”, come ha scritto Achille Bonito Oliva.