Designer orgogliosamente eccentrico nel panorama della ricerca contemporanea, Denis Santachiara si inserisce a pieno fra quelle figure di confine in grado di arginare la distanza fra arte e design. Il suo curriculum è ricco di incursioni e contaminazioni fra i due territori: da quando a metà degli anni Settanta abbandona la progettazione automobilistica per una ricerca propriamente artistica, fino al riconoscimento ufficiale alla Biennale di Venezia del 1980; dal rifiuto delle retoriche linguistiche della pittura dell’Ottanta fino alla mostra Neomerce-Il design dell’invenzione dell’essere artificiale (1985), che definisce il nuovo orizzonte della sua ricerca. Santachiara ha posto inequivocabilmente lo sguardo sul potenziale attrattivo dei nuovi media tecnologici – interpretati in chiave di svago e di forte ironia – germinando una poetica fondata sulla“possibilità di usare la tecnologia come elemento ludico per fare design”.
Il vantaggio derivante dalle tecnologie ‘soft’ sarebbe secondo il designer reggiano nell’ineffabilità dei processi che sostengono l’output del progetto. L’alea di mistero creata intorno agli artifici complessi dei nuovi media riuscirebbe ancora oggi a suscitare incanto negli occhi del fruitore: un effetto che Santachiara definisce di ‘magia’. Il designer ha dunque l’obbligo di mistificare la natura tecnologica delle sue creazioni e concentrare ogni attenzione sul potere evocativo delle sue illusioni ottico-percettive.
E’ quello che accade anche a Faenza nei locali della Baccarat, dove Santachiara espone la curiosa lampada da soffitto Cirro, una suggestiva fusione di funzionalità e fantasia che evoca la forma instabile, in costante evoluzione di un corpo nuvoloso. Il meccanismo di quest’opera è occultato nel ventre morbido del paralume mentre lo spettatore assiste al fascino misterioso di una presenza che palpita convulsa davanti ai suoi occhi. Un’altra piccola magia sono le ‘fiammelle’ che galleggiano al centro del piano d’appoggio di un tavolo: delicati ologrammi ottenuti dal gioco sapiente di rifrazioni luminose. E’ in quest’ottica che si spiega la cosiddetta strategia del prestigiatore: la sindrome a nascondere i tecnicismi spinti e i trucchi del mestiere a vantaggio di una creazione di piacevole intrattenimento. Il valore di questa sensata indefinitezza è rimarcata anche dall’ambiguità “multifunzionale” con cui Santachiara licenzia numerosi suoi prodotti. I complementi d’interno amoremio – in questo caso – sono creati secondo un sistema modulare a incastro che permette di chiarire questo punto. Il modulo in alluminio è una sigla che virtualmente può iterarsi all’infinito nello spazio adeguandosi a qualsiasi soluzione d’arredo; come un codice sorgivo, può svilupparsi su ogni superficie fino al puro ghirigori decorativo sulle pareti esterne della galleria. La pratica stessa di attribuire a queste opere nomi fantasiosi quanto bizzarri è da ascrivere a quella strategia della sorpresa con cui Santachiara stimola il divertimento e la fantasia del proprio pubblico senza lasciarsi superare dall’indice delle loro aspettative.
alan santarelli
mostra visita il 14 settembre 2004
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