L’opera
che avvia il percorso della mostra è Testa.
Lo sposo si è sposato, la sposa anche, scultura caratterizzata da un
eccentrico lightbox montato su una cupa costruzione in gesso nero – simile a
un’incudine – rialzata da quattro pali d’acciaio. Sul lightbox campeggia in
tutta la sua vivacità una bizzarra e ironica immagine fotografica, che ritrae
l’artista in posa “aperta”, nell’atto di spaventare la moglie. La donna,
invece, è accovacciata su se stessa in posizione “chiusa”. Sullo sfondo della
foto, scattata il giorno del loro matrimonio, si stagliano scheletri di
dinosauri, che testimoniano la presenza dei due neosposi al Museo di scienze
naturali di Milano. La creazione simboleggia un volto, rappresenta una testa
che pensa metaforicamente il viaggio del visitatore, rendendolo parte attiva
della scultura.
La
meticolosità dell’artista nelle misurazioni delle opere, in imprescindibile
relazione al contesto spaziale, costituisce una delle caratteristiche
essenziali nella poetica di Breviario, oltre alla incessante ricorrenza a
riferimenti a sue opere precedenti, in un ininterrotto e originale continuum artistico. Piccole e numerose sculture in
gesso, ciascuna separata da candide e ampie tende, rappresentano un’altra tappa
del viaggio di Breviario, intitolata Canto
d’amore per P.E.P.E.. Le costruzioni, composte ciascuna da un cubo
sovrastato da un ottagono e una cupola, richiamano la forma di una pepiera. In
tal caso, il riferimento principale è allo Shiva Lingam, il fallo di Shiva,
simbolo di fertilità nella cultura sacra induista.
Il
percorso della mostra continua nella psichedelica e conturbante “stanza dei
disegni” dai muri a pois: due ritratti in grafite di una madonna medievale e di
una dama anni ’30, intitolati rispettivamente Volli fargliela pagare per aver finto di essere ciò che non era e Tutto andrà bene se non peggio, vivono,
respirano e sembrano espandersi nell’illusione percettiva creata da una
macchina ottica, sovrastata a sua volta da una spirale bianca e nera.
Un’altra,
suggestiva opera che sprigiona grande magnetismo è L’otto, scultura in gesso nero che raffigura una testa con tre “occhi”
rappresentati da tre fori in rilievo. Al suo interno sono appesi splendidi
cristalli, metafora dei pensieri e delle idee.
A
conclusione della mostra l’ultima scultura, situata nello spazio esterno della
galleria, che raffigura l’alter ego, la versione “notturna” de L’otto. La “testa” è stavolta sovrastata
da tre occhi muniti di lenti ottiche, che proiettano sul muro le forme dei
cristalli posti al suo interno e appesi con un filo rosso, a incarnare la forma
stessa delle idee.
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Fabio Tiboni Arte Contemporanea
Via del Porto, 50d-52a (zona Mambo) – 40122 Bologna
Orario: da martedì
a sabato ore 14-19
Ingresso libero
Catalogo con testo di Ludovico Pratesi
Info: tel./fax +39 0516494586; info@fabiotiboni.it;
www.fabiotiboni.it
[exibart]
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ancora complimenti,
andrea bruciati
In italia,spesso e immagino sempre di più visti i tagli alla cultura, le gallerie private diventano musei. La cosa è anche utile ma costringe ogni progetto ad una certa cifra linguistica, direi "costretta".
Breviario sembra, per moltissimi aspetti, Pietro Roccasalva, che a sua volta fonde e condonde bacon-de dominicis circondandoli di "colte" installazioni non sense. E anche in questo caso il gioco sembra quello del non sense. Anche risolto in modo molto raffinato. Però la reiterazione del non sense diventa qualcosa di molto facile. La suggestione visiva è assicurata. Nel comunicato stampa lo stesso Breviario, parlando della scelta del titolo, dichiara questa pratica ottenuta accostando immagini disparate ma chiare e precise nella loro singolarità.
Questa pratica non sense mitigata da certi segni arcaici (le teste, i volti) non può che essere curiosa, ma non so se sia sufficiente rispetto al bombardamento di immagini e di creativi a cui siamo sottopposti quotidianamente. La rappresentazione, anche la più raffinata e leziosa, rischia di presentare delle armi spuntate rispetto la contemporaneità.