L’anelito verso l’Infinito, il desiderio inconscio di trascendere gli orizzonti del reale e il
datum fenomenico oggettivo. E ancora, la tendenza verso l’Assoluto, il superamento delle categorie logiche e fisiche dello spazio, del tempo e della forma mediante il linguaggio pittorico. È questa la
Sehnsucht, la peculiare condizione esistenziale che anima il percorso artistico di
Vincenzo Balsamo (Brindisi, 1935; vive a Verona).
La galleria Modenarte ospita
Il soffio dell’infinito, antologica che ripercorre le tappe fondamentali del viaggio verso l’astrazione lirica intrapreso dal pittore pugliese. Un viaggio verso il “metareale” che parte dalle prime opere degli anni ’50, in cui paesaggi e nature morte, permeate dal contrasto impetuoso dei colori, rivelano influssi post-impressionisti -nonché le ataviche radici culturali mediterranee dell’autore- ma che, nel contempo, trascendono la realtà naturale rappresentata. L’incantevole uso della luce, elemento fondamentale che determinerà la cifra stilistica di Balsamo, compare nei quadri degli anni ’60.
Tele che, attraverso le prime riduzioni formali, svelano la tendenza sempre più marcata verso un personale processo astrattivo: non paesaggi meramente naturalistici, dunque, ma testimonianze artistiche di un iter emozionale, intimo e profondo.
“Il mio mondo è unico -sostiene Balsamo-
parte dalla mia soggettività, è un’astrazione interiore di sentimenti, colori, forme: è l’estrinsecazione della mia intima essenza”.
Ma
“la pittura è prima mestiere, poi passione”, ed è infatti negli anni ’50, studiando alla scuola d’arte San Giacomo di Roma, lavorando nelle botteghe artigiane e frequentando gli artisti della Scuola romana, che il giovane Balsamo acquisisce la padronanza tecnica del mezzo creativo. L’esigenza di arricchimento culturale lo spinge a intraprendere frequenti viaggi, soprattutto a Parigi e nel Nord Europa; espone negli Stati Uniti, collabora con la galleria Burdeke di Zurigo ed è un assiduo frequentatore di musei. Le influenze dei grandi maestri dell’astrattismo europeo sono basilari per la sua
forma mentis. A Parigi conosce
Pablo Picasso, cosicché l’imprescindibile lezione cubista, che emerge soprattutto dalla sintesi geometrica e dal gioco innaturale della luce, permea le opere degli anni ’70. È il periodo della ribellione critica, delle “nebulose”, delle “decomposizioni” e delle magnetiche “evocazioni”: sperimentazioni analitiche confluenti nel binomio segno-luce, che connota l’originalità di uno stile in inconscia-conscia costruzione. Fondamentale, nel passaggio verso l’astrazione lirica, è l’influenza di
Kandinsky,
Klee e
Miró, nonché l’uso del colore e l’eraclitea armonia dei contrasti, perfezionati negli anni ’80. Ma è dagli anni ’90 che Balsamo raggiunge l’apoteosi della propria poetica astrattiva,
“attraverso il respiro emozionale del colore -sottolinea Maurizio Vanni-
la superficie d’appoggio come elemento attivo, partecipante del quadro e, soprattutto, l’esplosione della luce artificiosa che respira, viva, in ogni opera”.