Impostata come parte di un progetto che include anche la rassegna, da poco conclusa, allestita negli spazi del K21 di Düsseldorf, questa mostra di
Jeroen de Rijke (Brouwershaven, 1970 – Ghana, 2006) e
Willem de Rooij (Beverwijk, 1969) raccoglie tre video in 35 e 16mm, un corpus di fotografie e documentazione varia, stampe cibachrome, un bouquet di fiori e due abiti.
Le proiezioni dei film si svolgono in tre sale diverse e sono scandite secondo orari prestabiliti, che prevedono ampie pause. In questo modo si vuole favorirne la visione integrale e, al contempo, metterne in rilievo il rapporto con gli ambienti architettonici. Concepiti come sculture minimaliste, questi spazi comprendono pochi elementi funzionali (due file di panche nere, due altoparlanti ai lati, le cabine di proiezione mimetizzate in cubi bianchi) e possono essere fruiti anche a proiezione spenta.
La gelida sensualità dell’estetica del duo olandese si palesa quindi in un’integrazione fra la presentazione delle opere -che avviene in modo ancor più ampio con la selezione di vario materiale documentario- e la loro rappresentazione. I lavori, in origine pensati specificamente per un ambiente determinato, vengono ricombinati e ricontestualizzati in occasione di mostre in spazi diversi, dove assumono nuove suggestioni. La sezione denominata
Liupaard è una rielaborazione di due mostre precedenti: gli abiti di gusto barocco, in seta, con decorazioni in cuoio e camoscio, della stilista olandese
Fong-Leng sono accostati a opere di autori differenti che, inserite in un contesto trasversale, si relazionano suggerendo rapporti e rimandi.
I film di de Rijke e de Rooij contengono innumerevoli citazioni e possiedono una complessa varietà di valori formali e concettuali. Concepito originariamente per il padiglione olandese della Biennale di Venezia del 2005, il video
Mandarin Ducks è l’unico di questa mostra strutturato attraverso un lavoro di montaggio. Frammenti di scene costruiscono un ritratto delle relazioni sociali focalizzato su un gruppo di persone di estrazione borghese, i cui dialoghi e monologhi, combinati con la scenografia degli arredi e la luce colorata, creano un’atmosfera asettica e angosciante.
Nel film in 16mm
I’m coming home in forty days (1997), il soggetto rappresentato (la circumnavigazione di un iceberg) tende a venire illusoriamente percepito dallo spettatore come una “
realistic abstraction”. La visione oscilla sospesa tra forme pure e aggancio alla realtà figurativa. La serie di stampe di tappeti orientali può essere associata a questo filmato: con le parole di de Rooij, “
sentivamo che l’astrazione (astratti motivi floreali incontrano cristalli di ghiaccio) avrebbe funzionato”.
Infine, in
Bantar Gebang (2000) la macchina da presa osserva immobile, con un piano-sequenza di dieci minuti, uno scenario contradditorio: lo splendore di un’alba tropicale getta progressivamente sempre più luce su una baraccopoli indonesiana. In una sorta di
tableau vivant, rivela un’inconsueta bellezza e oltrepassa il facile cliché della denuncia politica.