La giovane fotografia americana approda a Modena e il risultato è una ricerca originale sullo spazio urbano che mostra una San Francisco del tutto esclusiva. Organizzata dalla Galleria Civica, in collaborazione con il San Francisco Art Institute, la mostra Fragments of urban life presenta una selezione di opere di dodici giovani artisti appartenenti all’ultimo anno del Dipartimento di Fotografia della prestigiosa Università d’Arte che re-interpretano le peculiarità del tessuto cittadino a modo loro, attraverso un percorso provocatorio che non scade mai nella banalità del già visto.
Aeschleah DeMartino sceglie d’infilarsi nelle maglie del privato, tra le lolite ambigue dei parties della young generation americana; la festa viene interpretata come emblema di uno scenario collettivo nel quale differenze e similitudini si leggono sul codice dell’abbigliamento e l’accezione sociale è vista come specchio di un modo di essere per giovani tribù urbane colte nelle loro specificità espressive; Joe Edwards codifica attraverso il bianco e nero la funzione del parco pubblico come luogo di contemplazione dai risvolti inquietanti: riposo e sollievo dal caos dell’iperattività quotidiana ma anche possibile luogo d’isolamento fisico e mentale, mentre negli scatti di Elyse Hochstadt avviene la ri-creazione del concetto di paesaggio in ambiente puramente urbano: la pianta cresciuta in mezzo ai palazzi testimonia l’artificiale che ha preso il posto del reale. L’indagine sulla superficie sporca del vetro di una finestra caratterizza l’interessante quanto singolare ricerca di Eila Kovanen; i residui di materia sono pelle segnata dalle tracce del tempo e divengono visione astratta nell’ingrandimento e nella strutturazione particolare definita dalla serialità fotografica, dove ogni tassello sembra lasciare l’impronta di un vissuto.
La solitudine è vista come assenza– presenza: nei frammenti di Carrie Calloway si respira la palpabile malinconia di una San Francisco residenziale deserta e immersa nell’abbandono di una festa finita, dove assenza e vuoto creano la definizione stessa del luogo; Missy Corbett fissa al contrario il flusso dell’affollamento della City, che costringe le persone ad incasellarsi come pedine in percorsi prestabiliti spersonalizzanti inglobandoli nel vortice frenetico di un assurdo movimento. L’uomo nell’ambiente lavorativo è soggetto scelto da Paul Cartier, che ritrae la fatica degli acrobati del circo durante l’allenamento, con lo scatto volto a cogliere l’abilità e la flessibilità dell’atleta, mentre Berton Chang soggetti in uffici improbabili; Xan de Voss traccia gli strati visibili e invisibili del tessuto urbano, con una composizione che verte sulla soggettività dello spazio pubblico e privato, Modesto Covarrubias ricerca una dimensione nel vacillare della luce che disegna, servendosi delle ombre, l’oscurità in interni abitati, mentre Rya Lerner e Jennifer Livia indagano l’una l’identità sessuale (un bar per lesbiche) l’altra la difficoltà d’integrazione del singolo appena trasferito, smarrito nella folla di una città delirante.
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www.sfai.edu/
francesca baboni
mostra visitata il 3 agosto 2004
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