Nome, cognome, data e luogo di nascita
«Urok Shirhan, nata a Baghdad, Iraq».
In quale epoca e luogo vorresti essere nata?
«Cairo negli anni ’40 per poter assistere al concerto di Umm Kulthum all’inizio dei miei vent’anni».
Quale è la prima cosa che fai appena sveglia?
«Mi chiedo che giorno sia e se non abbia dormito troppo a lungo per essere in orario ad un appuntamento. Poi mi preparo immediatamente un caffè forte».
Qual è il luogo che preferisci nella tua città?
«Al momento ad Amsterdam, adoro San Seriffe, una libreria che si trova nel quarteire a luci rosse che ospita, ogni settimana, eventi e letture di nuove pubblicazioni (di artisti). Un altro posto che mi piace si chiama Rongwrong, non lontano dal primo, il quale credo che stia creando nuove opportunità per unire diverse comunità e le pratiche artistiche. A parte questo: dovunque nei dintorni dei canali di Amsterdam, in particolare all’alba o dopo un forte temporale, quando le strade sono pressoché vuote».
Quali sono i tuoi riferimenti visivi?
«I video musicali degli anni ’90 e molti film di Jean-Luc Godard, in particolare quelli tra il 1966 e il 1975».
Esiste un limite che non oltrepasseresti mai? Quale?
«Cosa è un limite?».
Cosa è la fatica per te?
«Stagnazione. L’impossibilità di cambiamento, l’impossibilità di fuggire».
Quale credi che sia la forza del tuo progetto per Live Works?
«Personalmente credo che sia far convergere differenti linguaggi (audiovisuali). A parte questo, credo che sia meglio chiedere a qualcun altro. Ma posso dilungarmi all’infinito su tutte le debolezze! Haha. Stavo solo scherzando. Un po’».
Cosa ti aspetti da questi giorni di permanenza?
«Contagio: essere influenzata dagli artisti e dai curatori, e magari di sfruttare a pieno le opportunità che questo programma offre in termini di scambio, ma anche del generoso spazio e contesto che ci viene offerto».
Un aggettivo che descriva il tuo “Supercontinent” ideale:
«Post-Nazionale».
Roberta Pucci