A Oslo una mostra omaggia il cinema e l’arte afro-futurista di Cauleen Smith

di - 20 Luglio 2024

Annoverata da Romi N. Crawford tra i fondatori del cosiddetto “cinema nero”, Smith alterna nella sua produzione cinematografica ricerche originali e improvvisazione, performance dal vivo e narrazione, avvicinando le atmosfere del teatro e della pittura, e che in alcuni casi ricordano i progetti teatrali di Oskar Schlemmer e Wassily Kandinsky per il teatro sperimentale del Bauhaus. Ma nel cinema di Smith si ritrovano anche la musica e la poesia, linguaggi espressivi tradizionali dell’arte nera. La musica in particolare, ha un posto di rilievo in tutto il suo lavoro, è quasi sempre presente come una sorta di “arco portante”, molto spesso sottoforma di sessioni d’improvvisazione che si accordano con la tradizione culturale africana del Continente e della diaspora. Dopo aver pubblicato il suo primo lungometraggio nel 1998, dopo una prima educazione musicale, l’artista americana Cauleen Smith (Riverside, 1967) è ormai da oltre venti anni una figura chiave del cinema sperimentale (ma non solo). I suoi film “on the road” e le sue performance prevedono sempre l’interazione con i soggetti filmati, a volte scoperti per puro caso, e che si ritrovano protagonisti di una vera e propria esperienza sociale di vita “nera”, contornata dalla musica. Ma la questione razziale non è la sola che interessa Smith nella sua indagine artistica. La mostra ha infatti un profondo carattere narrativo che intreccia storie di umanità e storie dell’evoluzione della natura sulla terra, come gli ecosistemi delle ere antiche si sono succeduti creando sempre nuovi equilibri. È questo lo sfondo ideale dei rapporti fra culture diverse, da ripensare in chiave di de-colonialismo alla luce dei meno violenti rapporti di forza all’interno del sistema natura.

Installation view, The Deep West Assembly, Cauleen Smith. Astrup Fearnley Museet, 2024. Photo: Christian Øen

Fra Cinema e Pittura

All’interno della sale dell’Astrup Fearnley Museum la mostra si sviluppa in maniera armonica, attraverso un allestimento minimalista ma elegante, che lascia “respirare” le opere permettendo ai visitatori di apprezzarle una per una. The Deep West Assembly (2024), la pellicola che dà il titolo alla mostra, parte da panorami di formazioni geologiche come grotte di lava, conche vulcaniche e incrostazioni saline, successivamente accostate a strutture create dall’uomo come gli antichi tumuli funerari di Choctaw. La pellicola propone una visione degli Sati Uniti meridionali come un “profondo West” particolarmente piatto nella sua orizzontalità. Smith prende in prestito l’espressione dalla poetessa statunitense Wanda Coleman, fra le prime a far sentire la propria voce contro la ghettizzazione dei neri nella città di Los Angeles. My Caldera (2022) è invece una combinazione di video e installazione, dedicata al complesso rapporto fra il tempo, la cultura, i disastri naturali, i nuovi inizi. Cosa è possibile dopo l’apocalisse? Come spiega la stessa Smith, «per molte persone negli Stati Uniti l’apocalisse è già avvenuta», basti pensare agli effetti dell’uragano Katrina o alla desolazione che i vasti incendi lasciano ogni anno in California.

Come parte del programma espositivo, i film di Smith saranno proiettati per la prima volta in un cinema in Norvegia in una partnership tra Astrup Fearnley Museet e Cinemateket. Il programma presenta anche Drylongso (1998), il primo lungometraggio di Smith, dedicato all’amicizia creativa di due donne nere di Oakland, in California, che si aggirano per la città fotografando una specie minacciata d’estinzione: gli afroamericani. Infatti il lungometraggio solleva l’emergenza della violenza delle bande di bianchi che in quegli anni assassinarono molti giovani afroamericani. Il film è stato acclamato nel 1999 al Sundance Festival e all’Urbanworld Film Festival.

Cauleen Smith, The Deep West Assembly, 2024. Courtesy the artist. Photo Marc Sudac

Non solo cinema, perché all’Astrup Fearnley Museum si possono ammirare anche gli stendardi, opere tessili cucite da Smith in parte a mano e in parte a macchina, decorate successivamente a mano, mediante tintura, pittura o applicazioni di altri materiali come paillettes e nappe per catturare la luce e il movimento, anche in condizioni di scarsa illuminazione. Più che come opere decorative sono pensate come opere di protesta per veicolare un messaggio civile, domande destabilizzanti, o frasi poetiche in prima e seconda persona. Lo stendardo è il mezzo metaforico che lascia capire come tali frasi siano lanciate da un singolo individuo, l’artista, ma in favore di un gruppo sociale assai ampio, idealmente l’intera comunità nera. Infatti, la mostra racconta la lotta culturale di Smith contro le categorizzazioni e i pregiudizi razziali di una società, in particolare quella statunitense, che ancora oggi alberga al suo interno vergognose sacche di razzismo; una lotta condotta documentando gli sforzi intellettuali e il potenziale umano che scaturisce dalla cultura afroamericana. Interessante strumento di integrazione della mostra, una sala in cui sono messi a disposizione del pubblico interessanti volumi sulle dinamiche coloniali, sul pensiero degli intellettuali afroamericani, sulle lotte di liberazione eccetera.

Installation view, The Deep West Assembly, Cauleen Smith. Astrup Fearnley Museet, 2024. Photo: Christian Øen

Cauleen Smith e l’afrofuturismo

Fra gli esponenti di punta del movimento dell’Afrofuturismo, Smith lo concepisce come l’intersezione della cultura della diaspora africana con la scienza e la tecnologia, ma anche con il realismo magico, per rivedere, interrogare e riesaminare gli eventi storici del passato. Su questi presupposti, l’Afrofuturismo di Smith diviene una speculazione sulla potenzialità della tecnologia e della fisica per creare metafore che permettano di esplorare un passato diasporico africano e generare possibili narrazioni per il futuro, un modo di guardare agli orrori del passato nero e immaginare futuri sociali più evoluti. Dark Matter (purtroppo non visibile a Oslo) è forse l’opera più rappresentativa di Smith in questo ambito, costruito come una storia sugli alieni, non di rapimenti alieni, ma sulla mancata assimilazione con il mondo in cui si ritrovano per caso e il conflitto che ne nasce. Una metafora per indagare i traumi morali e psicologici di generazioni di africani sradicati dalla loro terra e deportati come schiavi nel continente americano. Ma come spiega lei stessa,«ci deve essere qualcos’altro, il dopo-trauma», per questo l’attenzione si sposta sulla narrazione che si sviluppa dopo, riflettendo sulla creatività della cultura afro-americana. Paradossalmente, afferma l’artista, «è stata la violenza riversata contro la “nerezza” a rendere questa cultura così dinamica».

Cauleen Smith, Photo Joshua Franzos
Cauleen Smith, your past made my future, 2022. Courtesy of the artist and Moràn Moràn

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