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Alien è un film di Ridley Scott ambientato nel futuro e nello spazio. La navicella Nostromo sta tornando da una missione nello spazio con a bordo il capitano Dallas (Tom Skerrit), il vice Kane (John Hurt), l’ufficiale scientifico Ash (Ian Holm), il capo-tecnico Parker (Yaphet Kotto), il suo collega Brett (Harry Dean Stanton), oltre al tenente Ellen Ripley (Sigourney Weaver), la navigatrice Lambert (Veronica Cartwright) e il gatto rosso Jones. Ricevuto un segnale anomalo, i nostri decidono di esplorare il satellite da cui proviene per verificare se ci siano forme di vita, senza pensare alle disastrose conseguenze di un’invasione da parte di un mostro alieno che tende a ingigantirsi e distrugge la flotta, a eccezione della Ripley che riesce a eliminarlo portandosi via il gatto.
La figura di Ellen Ripley è abbastanza chiara fin dalle prime scene in cui emergono delle relazioni tra i vari personaggi del film, e notiamo subito essere una donna abituata a farsi largo. Il primo momento in cui si impone è quando evidenzia il rischio di far salire a bordo il collega che, dopo l’esplorazione del satellite, è stato assalito da un corpo organico incognito che l’ufficiale scientifico Ash, che si rivelerà essere un robot, vorrebbe esaminare. Fin da quel preciso istante lei afferma di non fidarsi, rivelando il celebre sesto senso femminile. Ma soprattutto si appella al protocollo della Nostromo per i casi come questi, avvalendosi della necessità di rispettare le regole. Nonostante la sua carica sia la superiore in quel momento a bordo, il suo ordine non viene rispettato ed è costretta a ribadire il suo ruolo all’uomo accanto a lei.
Siamo nel 1979, a distanza di dieci anni dallo sbarco sulla luna, undici anni dopo 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick e a due anni dall’uscita di Guerre Stellari di Lucas e di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo di Spielberg, alla fine della rivoluzionaria decade in cui anche le donne iniziano a rivendicare il loro diritto ad avere una personalità e una professionalità, la Weaver ottiene la parte eroica della protagonista in un film che, per codice, tematiche e prassi, è sempre stato indirizzato al pubblico maschile, con una scelta da parte della regia che risulta essere davvero innovativa.
L’attrice riesce a reggere egregiamente fino alla fine, nella sua interpretazione si mette a piangere solo quando si trova completamente da sola e deve salvarsi la pelle (non sia mai che qualcuno le dica che è emotiva o le chieda se si trova in fase premestruale) e riesce anche a portare con sé il gatto, inseparabile e unico amico che le terrà compagnia nelle sei settimane necessarie per tornare sulla terra. Diciamolo pure, se Ellen Ripley fosse stata un uomo, sarebbe stata probabilmente il capitano della Nostromo per preparazione, tenuta sotto stress, lucidità, analisi d’insieme, prontezza, titolo e merito.
In più, nel fulgore dei suoi trent’anni, Sigourney Weaver, alta come un’amazzone, con questo look androgino che si piega alla femminilità solo alla fine, nella solitudine della capsula di emergenza con la quale sta facendo ritorno assieme al gatto, è di una bellezza e di una sensualità senza pari.
Il film ha vinto premi e nomination, soprattutto per la splendida scenografia, perché l’ambientazione porta bene i suoi 41 anni e, nonostante l’evoluzione dei film di questo filone per ritmo ed effetti speciali, si nota il parsimonioso utilizzo del digitale per costruire soprattutto la navicella, con tutti i suoi interni eleganti e cromaticamente perfetti.
Sigourney Weaver, Alien, 1979, regia di Ridley Scott
Per tutti gli altri Pop Corn, la rubrica di exibart dedicata ai grandi personaggi femminili della storia del cinema, potete cliccare qui.