Scusate il ritardo…ma ero nel futuro. Nel frattempo, non vi sarà sfuggita la massiccia campagna pubblicitaria che Netflix ha lanciato sul buon vecchio manifestone 140×200, riguardo a una nuova e avveniristica serie chiamata Altered Carbon, mandata in onda a livello internazionale dal 2 febbraio.
La storia è tratta dal romanzo Bay City, opera prima dell’inglese Richard K.Morgan che coi diritti per il cinema ceduti ai produttori di Matrix vive da scrittore milionario dal 2002. Dalla creatrice della serie Laeta Kalogridis, sceneggiatrice tra gli altri de I guardiani della notte e Shutter island, ci si aspettava un po’ di più ma, in fin dei conti, la spesa vale l’impresa, come si dice. Infatti, appena la serie giunge al decimo e ultimo episodio si palesa che sono state gettate le basi di una lunga e complessa trama che si svolgerà in diverse stagioni, procurando lauti guadagni. Insomma, se prima esistevano i Colossal dove l’impiego spropositato di mezzi e uomini talvolta subordinava la qualità, oggi assistiamo alle “stagionate” (intendo vagonate di stagioni ma il richiamo alla stagionatura è calzante) dove si parte con tanta roba ma non si sa dove si andrà a parare.
Il tema distopico futuristico o fantascientifico pare prestarsi bene a questo must e così, dai classici Star Trek e ormai Doctor Who, fino ad arrivare ad Agent of Shield e Falling Skies, le Stagionate sono d’obbligo e, in fondo, tutte si lasciano guardare fino alla fine. Se cadi nel vortice, sei risucchiato. Altered Carbon ha il pregio di unire attori noti e un iper-realistica grafica computerizzata a contenuti scabrosi e mai banali, come l’anima, la sua sede e se è possibile esportarla, il pensiero in quanto esistenza, l’immortalità, la clonazione dei corpi e delle menti, mischiandoci dentro un po’ troppi calci rotanti che, onestamente, in un mondo post-post Blade Runner, fanno un po’ sorridere.
Joel Kinnaman interpreta Takeshi Kovacs o meglio il corpo in cui lo hanno risvegliato, nei suoi ricordi passati egli è un guerriero interplanetario interpretato da Will Yun Lee, ma non ha più nulla del vecchio passionario Kovacs. L’attore di origini svedesi è perfetto nel ruolo del freddo e calcolatore antieroe muscoli e tensioni interiori, non a caso è Robocop nel remake del 2014.
Sempre sul bivio tra tornaconto personale e bene comune, in una società in cui non crede e che non rappresenta il suo mondo e i suoi valori, lui è il punto di forza della serie e la prima stagione non è bastata a formare personaggi o situazioni altrettanto nitidi e definiti, tutto resta un po’ in superficie.
Azzeccata la trovata in cui le I.A. gestiscono alberghi e bische, evocative le enormi cattedrali sopra le nuvole, dove i ricchi e potenti vivono in un mondo dorato lontano dalle preoccupazioni di chi non può comprarsi un corpo di ricambio. Questo ricorda il vintage Galaxy Express 999, manga e poi anime per la tv di Matsumot (Capitan Harlock) e da cui alcuni concetti vengono di certo mutuati.
Ora sapete quel manifestone dove porta, non resta che decidere se risvegliarsi nel futuro del futuro o continuare a dormire in un comodo sacchetto di gel.
Gabriele Toralbo