Se ne fa sempre un gran parlare di questo Orson Welles. Il caso dell’ultimo film reso disponibile post mortem, the other side of the wind – dal 2 novembre available anche su Netflix – ha riportato a galla l’attenzione per tutto l’incompiuto di questo uomo dal multiforme ingegno in grado di attraversare rivoltando come un calzino le sorti di qualsiasi media abbia (im)piegato, dalla radio al cinema passando per il teatro e la televisione. Non presenziando alla sua prima lagunare, grazie a Venezia a Napoli un pubblico non altrimenti riunito ha fatto conoscenza di questa pellicola prima della sua distribuzione in rete. Netflix compare dunque come produttore, per la prima volta sul grande schermo ho familiarizzato con il suo marchio audiovisivo e, in verità, in verità vi dico: vedere lo stesso film prima al cinema e poi a casa completa le fasi di fruizione dell’opera cinematografica, al netto della sua natura riproducibile e poi controllabile grazie ad un cursore temporale di movimento. La trama è complicata e in effetti la disponibilità in rete della stessa permette di non restare troppo traumatizzati dal mirabolante montaggio che mette insieme pose plastiche e dialoghi difficili, al netto di discorsi da completare e proprio per questo importanti, immagini non verbalizzabili tale è la carica iconologica, una diversa concezione dell’uniformità cromatica e del punto di vista della telecamera, una sonorizzazione quanto mai ritmica e avvolgente. Il vortice narrativo resta canalizzato dalla cronografia destinata pur sempre ad arenarsi sulle sponde di una conclusione.
The other side of the wind
Molti vi parleranno del film: è il loro lavoro cercare di presentare ai lettori quanto non afferrano; qui si analizza esclusivamente il trailer, perché se non tutti i lettori vedranno il film possono facilmente arrivare al trailer. Caricato il 29 agosto dal signor Netflix Italia in persona su quella centrifuga audiovisiva che è pur sempre youtube, conta poche migliaia di visualizzazioni: solita l’impostazione del montato con scene topiche inframezzate da titoli adeguati a monumentalizzare un evento cinematografico iniziato 40 anni fa, immagini marchiate proprio col logo di netflix, stavolta bianco, in alto a destra, il suono delle percussioni ad incalzare e far vibrare le immagini fino all’ultima, mentirosa schermata di un “solo su netflix “che non rende giustizia a quei pochissimi cinema che hanno deciso di esporlo, eventualizzando qualcosa altrimenti sempre disponibile. Ma un contenuto su youtube non è solo l’audiovisivo: come recita l’esauriente didascalia: “Circondato da fan e scettici, il brizzolato regista J.J. “Jake” Hannaford (un sorprendente John Huston) ritorna dopo anni trascorsi in Europa a una Hollywood cambiata, dove cerca di ritrovare il successo: il coronamento di una carriera che può essere solo opera di Orson Welles, il cineasta più avventuroso di tutti” sarà forse questo the other side of the wind? Ma andiamo oltre, perché se il film stesso prova ad andare oltre il cinema, allora dovremo in qualche modo metterci anche noi in scia e capire perché non necessariamente lo vedrete al cinema. La stessa didascalia è alla base di tutte le traduzioni presenti: facciamo subito un salto sull’account del signor Netflix in persona, quello autentico, che di visualizzazioni invece ne ha fatte circa quattrocento mila e in didascalia aggiunge. “About Netflix: Netflix is the world’s leading internet entertainment service with 130 million memberships in over 190 countries enjoying TV series, documentaries and feature films across a wide variety of genres and languages. Members can watch as much as they want, anytime, anywhere, on any internet-connected screen. Members can play, pause and resume watching, all without commercials or commitments.” Le parole sono pesate così bene che nemmeno a Scarabeo.
Allora diventa chiaro perché una cosa come Netflix spacca i fronti tra Venezia e Cannes: perché c’è chi la vuole bianca e chi la vuole nera ma in effetti sempre e solo al pubblico appartiene il grigio come incontro tra le sfumature. Questo processo di ibridazione della fruizione cinematografica spaventa tutti o nessuno e, finalmente lontani dalla parata sociale dell’intrattenimento di massa, fruiamo atomizzati di contenuti che desiderano consumare acriticamente il pubblico. Rilevare una roba del genere in pieno accordo alla vestibilità degli apparati significa anche ripartire dalla sua contrapposizione dialettica: orientare i dispositivi dalla riproduzione alla produzione.
Antonio Mastrogiacomo