«Perché non te ne vai? E ‘ndo vado?».
Il film affonda le radici nella cultura patriarcale italiana, un’Italia che si è voluto dimenticata. Quando le donne già lavoravano, già avevano pari doveri, ma nessun diritto. Un film che parla di una strana democrazia che accomunava donne di ogni ceto sociale: la violenza domestica.
C’è ancora domani è un dramma dolce, girato in bianco e nero, un film che fonde delicatamente neorealismo e comiche da film muto. Un film dedicato alle donne. Paola Cortellesi, nel film, è anche attrice. È Delia: una moglie e una madre, i ruoli che definiscono una donna nell’Italia del dopoguerra. Delia «in fin dei conti è ‘na brava donna de casa. Solo che c’ha sto difetto che risponde». Ma l’arrivo di una lettera misteriosa fa capire a Delia che ci può essere una vita migliore. Dopo tante sceneggiature (tra le quali Gli ultimi saranno ultimi, Come un gatto in tangenziale, Ma cosa ci dice il cervello), Paola Cortellesi esordisce nella regia cinematografica con una storia scritta insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti e ambientata nella Roma popolare della seconda metà degli anni ’40, in bianco e nero, memore del nostro cinema di quegli anni. Protagonisti, con lei, Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni.
«C’è ancora domani– racconta Paola Cortellesi – è nato con la voglia di raccontare la vita di quelle donne che nessuno ha mai celebrato. Inizia con questa immagine di uno schiaffone sulla faccia. Poi lei si alza e fa le sue cose quotidiane, come una povera Cenerentola, senza rendersene conto. C’era la voglia di raccontare la vita di tante donne come le nonne e le bisnonne, che mi hanno raccontato delle storie incredibili che riguardano quell’epoca. Episodi che si consumavano nel cortile, davanti a tutti. Storie di donne che hanno costruito il tessuto sociale del nostro Paese, crescendo figli e avendo mariti che andavano e tornavano dal fronte. Donne che sono sempre state considerate delle nullità e che si sentivano, loro stesse, delle nullità. Ma in quel periodo ci sono state anche donne che hanno firmato la Costituzione, come Nilde Iotti. Donne che hanno combattuto per i diritti di cui godiamo ora. Noi invece, abbiamo voluto parlare di tutte le altre, quelle che nessuno celebra, nessuno ricorda. Non ci si rendeva neanche conto di quali discriminazioni e violenze subivano. Non si ponevano questa domanda perché così era stato loro insegnato. Era stato insegnato loro che non contavano niente».
«Ci siamo chiesti – continua la Cortellesi – quanto potessimo spingere sul linguaggio ironico, a volte cinico, trattando un argomento così duro come la violenza domestica. All’epoca non era un argomento: questo era un dato di fatto. E come tale lo abbiamo trattato. Come qualcosa di ordinario, qualcosa che capita. E le cose che accadono ogni giorno non hanno un colore solo. Non hanno il colore solo del cinema drammatico. Durante i momenti della giornata non è possibile avere un solo colore. Abbiamo, in fondo, mantenuto quel tono canzonatorio che usavano le nostre nonne nel raccontare fatti incredibili, e a volte surreali, di vita quotidiana. Nonostante il film sia molto realistico, non mi piaceva rappresentare la violenza in maniera cruda. Tanto siamo abituati a vedere scene violente iperrealistiche, a volte esagerate. Non volevo che in questo momento, serio, delicato, sicuramente molto violento, prevalesse il voyerismo. Ho preferito raccontarlo come un rituale. I lividi che appaiono e scompaiono, ad esempio, sono frutto di qualcosa che accade spesso. La realtà c’è, ma nella testa di Delia va via, perché lei se la lascia alle spalle e ricomincia una nuova giornata come niente fosse. Come niente fosse, fin dallo schiaffone iniziale. Questo credo che sia la cosa più violenta che si possa mettere in scena: come niente fosse. È questo modo di vivere, di pensare, che credo che sia la cosa più grave».
Tra i bravissimi attori, Giorgio Colangeli. Colangeli è Ottorino, l’orco della storia, recitato con enfasi teatrale. Il suo personaggio è portatore di una antica “saggezza” maschile ancora oggi diffusa: «No je poi menà sempre. Poche vorte ma fatte bene». «C’è sicuramente un’enfasi nel recitare il mio personaggio – racconta Colangeli. – Ma una cosa che questo, film racconta è che tra le tre generazioni di maschi non c’è una grande evoluzione . Ottorino è manifesto, violento, estremo. Ma anche suo figlio ripropone lo stesso modello ideologico. E anche il ragazzo della figlia, quello che all’inizio sembra diverso, è solo innamorato. È una frase che hanno vissuto anche i genitori: anche loro all’inizio erano così. Poi però, quello che dà il senso alla vita coniugale, è quello che lui le comincia a dire dal momento in cui si fidanzano ufficialmente: tu non ti trucchi, tu non lavorerai, tu sei mia. Ed è una cosa che succede ancora oggi. Anche oggi l’amore tra un uomo e una donna viene spesso travisato in una dinamica di possesso che umilia tutti e due, perché fa di tutti e due un oggetto e quindi, purtroppo, non è cambiato molto».
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