-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Che film guardiamo? I 5 titoli del weekend (da vedere e rivedere)
Cinema
di Francesca Pinton e Francesco Zanatta
La vera storia della donna (ancor prima che principessa) Diana Spencer, la tragedia che lega una ragazza senegalese all’accusa di infanticidio, il rapporto di eterna rivalità tra il grande compositore Wolfgang Amadeus Mozart e Antonio Salieri. E ancora, la relazione proibita e intensa tra due donne nell’America degli anni Cinquanta, le vicende di un cantante folk raccontate dall’inimitabile narrazione dei fratelli Coen. Tra nuove uscite e film imperdibili, vi raccontiamo qui cinque titoli che vi incolleranno allo schermo.
Spencer di Pablo Larraín – 2022
Ancora Lady D? A riportare sullo schermo Diana Spencer (il titolo parla chiaro: non la principessa, la lady, la futura regina o la ex di Carlo d’Inghilterra) è Pablo Larraín, regista che ha ben saputo dimostrare la sua abilità nel ritrarre biografie che hanno segnato paesi ed epoche in pellicole come in Neruda e Jackie. Avvicinandosi a Spencer bisogna mettere da parte l’immenso immaginario accumulatosi intorno alla vicenda della principessa, perché in questa pellicola il cliché è chiamato in causa solo per essere decostruito. Lo sguardo di Larraín non è ingenuo, non semplifica in chiave vittimistica o eroica la figura di Spencer, ma lavora per sottili velature anche grazie alla particolare performatività di Kristen Stewart, il cui corpo abita lo spazio con un’eloquenza che va molto al di là dell’imitazione. In questo senso è degno di nota il trattamento della malattia mentale della protagonista, le cui manifestazioni ci vengono mostrate ancora e ancora. In questa ripetizione si compie un importante scarto nella lettura del disagio: il sintomo non è un apice drammatico, un artificio retorico a servizio della trama, ma crea invece un’immagine acuta del limbo in cui è costretta la Principessa Diana, un incubo di difficile lettura ed evasione dove non esistono semplicemente i buoni e i cattivi. Il risultato è qualcosa di veramente inedito, non solo per quanto riguarda l’immaginario ma soprattutto per ciò che accade alle immagini che vengono come stregate e sospese per per farsi, finalmente, spazio di riflessione e complessità.
Saint Omer di Alice Diop – 2022
Saint Omer, estremo nord della Francia. Rama, scrittrice e professoressa, decide di seguire il processo di Laurence Coly, una ragazza senegalese accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi, per trarne spunto per il proprio prossimo romanzo. Con l’avanzare del processo, tuttavia, Rama si troverà a incrociare progressivamente la propria esperienza personale con quella dell’imputata, in una sovrapposizione che metterà in crisi molte delle sue certezze. Con Saint Omer la regista francese Alice Diop, una carriera di documentarista alle spalle, esordisce nella fiction vincendo il Leone d’argento – Gran premio della giuria e il Leone del futuro come miglior opera prima alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film è caratterizzato da un sapiente uso della camera fissa e dei piani sequenza che, se da un lato sembrano irrigidire la scena, dall’altro riescono a creare una tensione peculiare che permea tutta l’opera, riuscendo efficacemente a raccontare una storia difficile e refrattaria ai giudizi troppo netti. Un argomento duro come l’infanticidio è il punto di partenza per una riflessione sulla maternità e il colonialismo attraverso uno sguardo lucido e senza compromessi.
Amadeus di Miloš Forman – 1984
La vita, le glorie, gli eccessi, il genio e soprattutto la morte di Wolfgang Amadeus Mozart raccontate dal suo eterno nemico e opposto Antonio Salieri alla fine della sua vita, in una lunga confessione dall’interno di un manicomio. Nel corso del film la rivalità covata da Salieri nei confronti di Mozart si consuma fino a culminare in una resa di fronte al genio e al confinamento nel regno della mediocrità, di cui Salieri si riconosce come santo protettore. Il capolavoro di Forman parla di arte e di tragedia, di vite incredibili e alla deriva, ai confini, perseguitate da demoni senza tempo; ma, ancora di più, parla della macchina inesausta del cinema, capace di attingere a piene mani dal contemporaneo e di farsi abbagliare – nel migliore dei sensi – dalla cangiante schizofrenia degli anni Ottanta: con il suo Mozart divo, iperattivo e capriccioso in parrucca settecentesca trasfigurata in mullet rosa, con la sua pompa e il suo sfarzo, con le sue immagini sovraccariche di sensi e la sua musica pervasiva, questo Amadeus è anche una magistrale messa in scena del proprio tempo.
Carol di Todd Haynes – 2015
New York, anni Cinquanta. La giovane aspirante fotografa Therese conosce la raffinata e matura Carol lavorando come commessa ai grandi magazzini: tra le due nascerà una relazione intensa e appassionante, proibita e nascosta. Todd Haynes, che già aveva toccato questo periodo storico con Lontano dal paradiso (rivisitazione moderna di Secondo amore di Douglas Sirk) torna qui ad affrontare un tempo in cui i sentimenti sono costretti e rigidamente codificati. La cura certosina per i costumi e la scenografia servono a ricostruire un ambiente affascinante ma ostile, in cui tutto è pura superficie. Le due straordinarie protagoniste Rooney Mara e Cate Blanchett regalano due performance trattenute e dolorose, spesso inquadrate attraverso finestre, vetri, superfici che opacizzano volti e corpi, negandoli a una visione completa: la regia di Haynes, insieme alla miracolosa fotografia di Ed Lachmann, lavora delicatamente per raccontare una storia sfocata.
A proposito di Davis di Joel e Ethan Coen – 2013
Llewyn Davis, squattrinato cantante folk, cerca di sopravvivere e di farsi un nome nella New York degli anni Sessanta, inseguendo i propri sogni di gloria nonostante gli ostacoli sempre nuovi che gli sbarrano la strada. Non c’è una vera e propria trama: il film procede in un susseguirsi di eventi apparentemente privi di senso, tra viaggi sconclusionati e gatti rossi in fuga, alla ricerca di una soluzione che non si trova mai. Rimane, piuttosto, un’atmosfera gelida e sognante, straniante e incerta, avvolta dalle luci fioche e dai colori – verde, azzurro, marrone – che la fotografia del francese Bruno Delbonnel riprende dagli album del primo Bob Dylan. A proposito di Davis viene sempre citato troppo poco quando si parla dei fratelli Coen, ma a rivederlo oggi si conferma come una tra le opere più suggestive e curiose tra le tante, preziose, firmate dal duo.