11 giugno 2024

Come sta crescendo il film festival di Scutari in Albania: ce lo racconta Tea Paci

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Giunta alla settima edizione, Ekrani i Artit si conferma come una delle realtà più sorprendenti dedicate alla videoarte nel panorama internazionale, capace di chiamare nella città albanese una comunità affiatata di artisti, curatori e opere di qualità

Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela

Al nord dell’Albania, affacciata sull’omonimo lago che prosegue nel Montenegro, la città di Scutari diventa una volta all’anno osservatorio privilegiato e internazionale dedicato al cinema e all’immagine in movimento. Questo grazie a Ekrani i Artit (che in albanese significa “Schermo dell’arte”) il festival giunto alla settima edizione che coinvolge sedi diffuse di tutta la città, tra i quali l’onirico Kinema Republika, ma anche il Marubi National Museum of Photography, diversi ostelli e centri giovanili, l’affascinante Castello di Rozafa, che domina la città e, naturalmente, l’Art House. Quest’ultima, casa natale dell’artista albanese Adrian Paci (tutt’ora direttore di Ekrani i Artit) e della sua famiglia, è diventata nel tempo non solo un centro espositivo e luogo di incontro di arti e creatività, ma anche la miccia che innesca ogni anno la macchina di questo festival. L’ultima edizione, svoltasi tra il 5 e il 9 giugno 2024, è stata intitolata Solitude/Moltitude e ha portato con sé decine di proiezioni di opere video di artisti internazionali, tra cui Santiago Sierra, Cecilia Vicuña, William Kentridge, Carolina Sandvik, Marco Bonfanti, Fabrizio Bellomo Robert Pettena, Alice Rohrwacher, Elena Mazzi, Sara Tirelli, Tao Nguyen Phan, Anri Sala, Driant Zeneli e altri. La formula è semplice ma efficace: bisogna restare indipendenti in modo consapevole, bisogna mantenere alta la qualità delle opere e mai tradire la propria identità. Per farci raccontare meglio in che modo questa situazione inconsueta diventi una realtà di connessioni inattese, abbiamo coinvolto Tea Paci, giovane curatrice e colonna portante del festival.

Tea Paci
Tea Paci ph. Ilaria Costanzo

Sei una curatrice emergente dedicata al campo della cinematografia e della videoarte, un percorso non così comune. È una vocazione che affonda le radici in origini lontane?

Molto lontane. Oltre ad essere cresciuta fin da piccola in un ambiente familiare immerso nelle arti visive, fin dalla formazione ho scelto l’immagine in movimento, specializzandomi in Film and Screen Studies alla Goldsmiths University di Londra. Non potevo ignorare però che il video acquista senso all’interno dello spazio in cui è inserito: nei festival in cui ho lavorato (Bellaria Film Festival, Festival dei Popoli, Lago Film Festival), ho sempre cercato di mantenere la consapevolezza su questa connessione.

A proposito di spazi connotati, invece, ciò che colpisce maggiormente di Ekrani i artit è il forte senso di comunità che si vive. Questo festival rappresenta realmente per te e la tua famiglia l’atto di aprire la vostra casa al pubblico, come nel caso dell’Art House, oltre che di connettere luoghi di ospitalità e spazi culturali già presenti in città. Quali sono le tracce che la manifestazione sta lasciando sul territorio?

Art House (che sta per compiere 10 anni di vita!) è stata non solo il punto di partenza, ma proprio il paradigma con cui agire. Un festival non può mai essere calato dall’alto, ma anzi necessita di dialogare con ciò che lo circonda. A maggior ragione in una città come Scutari che ha delle risorse non sempre valorizzate. Il nostro intento era quello di riattivare questi spazi e rimetterli a disposizione della cittadinanza in una maniera diversa. Anche la dimensione di Scutari permette la giusta vicinanza e attenzione alle cose, senza il rischio di non diventare dispersivi. Negli anni abbiamo raccolto attorno a noi delle persone partite come volontari e che poi hanno assunto ruoli più strutturati. Sicuramente abbiamo la lungimiranza di lavorare per la collettività creando un luogo in cui giovani professionisti possano crescere.

Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela
Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela

Mi trovo sempre di più a riflettere su come realtà emergenti e anche geograficamente lontane dagli appuntamenti più istituzionali e globali si rivelino luoghi inconsueti ma capaci allo stesso tempo di esprimere un taglio politico molto esplicito. In questa settima edizione il tema Solitude/Moltitude coinvolge una serie di tematiche che vanno dall’immigrazione, all’alienazione della società, fino alle comunità di minoranza. Come hai vissuto tutto questo nella preparazione del festival?

Diciamo che è una sorta di accordo tacito. Noi curatori lavoriamo da diverse parti del mondo, ciascuno in maniera autonoma mantenendo però una comunicazione che segua una linea comune. Abbiamo la fiducia che ognuno di noi poterà una diversa prospettiva sul presente, su questioni che non possono essere ignorate. È facile dichiararsi “politici” decidendo i temi a tavolino; più difficile è lavorare silenziosamente, senza statement, attorno alle cose, finché i discorsi arrivano una volta raccolti e compresi.

È un approccio molto interessante, diverso dalle consuete “open call” in cui i temi vengono decisi a priori.

Ci sono state delle conversazioni iniziali e poi un lavoro successivo molto organico. Una volta che invitiamo qualcuno a curare uno spazio non cerchiamo mai il grande nome preposto a fare promozione. Ci teniamo che chi partecipa comprenda lo spirito e lo rifletta nelle scelte curatoriali. Penso che questa comprensione reciproca abbia funzionato poi bene nella resa finale del programma presentato.

Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela
Talk Marco Scotini, Arnold Braho e Tea Paci. Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela

È uno dei caratteri per cui, al di là di ogni pour parler possibile, potete definirvi davvero come un festival indipendente?

Questo è un grande tema perché negli anni siamo cresciuti e abbiamo dovuto prendere delle decisioni. Il tutto ha un costo, per cui bisogna tener presenti gli interlocutori. Essendo un festival che parla alla comunità, l’appoggio del Ministero della Cultura e del Comune di Scutari restano fondamentali e sono una parte che vogliamo mantenere e implementare. Ci sono dei partner fondamentali da tutta Europa con cui abbiamo collaborato e che ci hanno aiutato a costruire il programma coerenti con il progetto: Fondazione In Between Art Film, l’Archivio Luce, Protocinema che è un’organizzazione turca che si occupa di immagine in movimento, Midnight di base a Berlino.

E i privati invece?

I privati sono oggi i possibili interlocutori: il tema è negoziare un sostegno senza tradire l’anima indipendente del festival, che parte dalla direzione artistica. I potenziali partner privati cominciano a guardarci con curiosità domandandosi come possano essere di supporto. Tutto questo in un contesto come quello dell’Albania, figlia di un regime comunista in cui tutto era res publica e ideologia, compresa la cultura. Quello che dobbiamo fare oggi è creare dei corpi intermedi tra le due realtà come abbiamo fatto noi, una casa privata che si apre alla comunità.

Ekrani i Artit non solo lavora sulla programmazione interna, ma si fa anche cassa di risonanza per le altre realtà parallele, come Concorto, realtà di Piacenza presentata all’interno del vostro programma di talk. Ma anche la stessa Biennale di Venezia, presente nei momenti di incontro con Iva Lulashi, esponente del Padiglione Albania di quest’anno e il Disobedience Archive di Marco Scotini, portato nel suo racconto qua a Scutari. È intenzionale il fatto di dar voce tanto alle realtà albanesi quanto a quelle internazionali?

Assolutamente sì, questo è sempre stato nelle intenzioni sia di Ekrani i Artit che di Art House. Ci siamo accorti che quello che ci interessava era il doppio movimento, farci da membrana sia per gli artisti internazionali in Albania che gli artisti albanesi all’estero. L’idea è quella di mappare questi artisti e metterli in connessione, senza dimenticarci del fatto che l’Albania è terra di migrazione. Ci piace veder tornare gli artisti, creare un circolo virtuoso.

Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela
Ekrani i Artit 2024. Credits Gys Vela

Insomma, cosa ti rende più orgogliosa di questo festival che stai vedendo crescere?

Fin da subito ci siamo domandati: come convincere un pubblico locale che non è abituato ad andare al cinema né a comprendere il linguaggio della videoarte a seguire certi tipi di film e di opere? Non abbiamo mai voluto semplificare. Abbiamo voluto andare incontro al pubblico ma senza sottostimarlo.

Come si è evoluto questo rapporto?

È stato molto bello dopo sette edizioni ricevere commenti di persone che mi raccontavano di una familiarità ormai acquisita nei confronti del festival. Il pubblico ha capito cosa aspettarsi e con quali occhi andare a guardare certi lavori. Penso che rimanere accessibili senza compromettere la qualità alla fine paga. È questo il mio augurio per il futuro del festival, che diventi sempre più diffuso, capillare e virtuoso lo scambio tra di noi e la comunità locale.

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