Categorie: Cinema

Fratelli d’Italia: appunti rapidi su un cinepanettone del 1989

di - 27 Dicembre 2019

Jerry Calà, splendido, in polo Lacoste rossa e giacca a due bottoni chiara. Sigaretta nervosa tra le labbra, il traffico della città si riflette sulle lenti scure degli occhiali da sole da yuppie, da playboy, da giovane eternamente rampante. Aspetta con ansia un’esplosiva Sabrina Salerno e i suoi movimenti sono nervosi e a scatti, come quelli di un ragazzino durante la recita di Natale delle scuole elementari. Poi lei arriva, scende da un taxi vestita del bianco degli abiti monacali. È il colpo di scena en travesti, uno dei tanti che segneranno il ritmo di questa storia di passione. Lei l’avevamo vista poche scene fa, generosamente scollata, protesa in avanti, aggressiva nel suo passo lunghissimo e a spilli, divoratrice di esseri umani. E poi insieme, via dalla città, dagli sguardi indiscreti, spasimando la consumazione del loro amore fedifrago. Professionalmente aggravato dalla circostanza che il ricchissimo e attempato marito di lei è anche il capo supremo di lui. Jerry Calà, giovanissimo, intelligente, spigliato, viveur ma in carriera, scapestrato ma ottimista, addetto al marketing della Sauli, plenipotenziaria azienda di pandori. Fratelli d’Italia – il film, non il partito, anche se tra i due qualche strizzatina d’occhio sembra esserci – risale al 1989, quando il cinepanettone era nel pieno della sua fase glassata, dorata.

Diretto da Neri Parenti, con soggetto e sceneggiatura di Enrico e Carlo Vanzina, Fratelli d’Italia è interpretato dal magico terzetto Christian De Sica, Jerry Calà, Massimo Boldi, protagonisti-mattatori di tre episodi che, legati dall’unico espediente narrativo di una vettura noleggiata, rappresentano in maniera coinvolgente quell’Italia che, una volta, trent’anni fa che sembrano un secolo, immaginava un futuro molto diverso per se stessa.

C’era già tutto, nel cinepanettone Fratelli d’Italia: elegantemente stroncato dalla critica intellettuale e campionissimo di incassi, con la cifra record di 950 milioni di lire. Una frattura tra mente e corpo che sarebbe diventata non solo sempre più profonda ma anche vasta e trasversale. Enorme come quella parte di popolo eternamente sconfitta e poi anche abbandonata dalle sinistre. L’automobile, deus ex machina in prestito, è una Fiat Tipo prima serie, eletta auto dell’anno 1989 per le sue innovazioni tecnologiche. Versatile, slanciata, con la carrozzeria zincata, disponibile anche nella versione a 92 cavalli turbo. Nazional popolare in assetto da corsa, piede sulla frizione, mano destra sulla leva del cambio e via in avanti a bruciare l’asfalto liscio dell’autostrada, finestrini abbassati, capelli al vento.

Posso sentirla ancora quella brezza leggiadra e carica di promesse, anche in questo momento mentre, appesantito dall’accoppiata Vigilia-Natale, mi concedo pigramente giusto una fetta di cinepanettone, mezz’ora di sacro divano per Fratelli d’Italia, in onda nel pomeriggio di questo 25 dicembre 2019, su NOVE. Giusto il tempo per assistere all’episodio di Jerry Calà, dopo De Sica borgataro non per caso nella limpida Costa Smeralda, che nel 1989 era teatro dei primi scontri tra popolani e aristocratici, e prima di Boldi, borghese piccolo ma grande tifoso del Milan, squadra carica di campioni acquistati a suon di milioni dal presidentissimo Silvio.

La storia del secondo episodio parte da una scommessa con gli amici, che potrebbe glorificare la fama di playboy, faticosamente conquistata da Jerry Calà/Roberto Marcolin, ma anche devastare per sempre la sua reputazione impenitente. La posta in gioco è socialmente alta: un milione per andare a letto con l’avvenente e giovane moglie del capo che ha una grande stima dell’impiegato in ascesa, punta di diamante di un reparto marketing che, in effetti, funziona alla perfezione. Il claim “Sauli è sempre con voi” ritornerà ossessivamente per tutto l’episodio, a evocare l’onnipresenza del marchio, quindi del marito, rovinando i movimenti di massima eccitazione dei due.

Jerry Calà non è bello, questo è evidente, eppure piace, sempre. Perché? È agile, riesce a seguire con destrezza le evoluzioni del fato, le circostanze. È l’uomo giusto che ha saputo trovarsi nel posto giusto ma – e qui scatta il comico – qualche secondo prima o dopo. Roberto Marcolin non si perde in giri di parole romantici. Si intrufola nell’ascensore con Sabrina Salerno/Michela Parodi, osservandola con bramosia ferale ma poi, quando tutto sembrerebbe volgere all’assalto fisico, ecco il colpo di scena dialettico, carico di quel revanscismo sociale che non dimentica:

– Ma cosa fa?
– Ho fermato l’ascensore…
– E perché?
– Perché le devo parlare…
– E di che, scusi?
– Di lei! Michela Parodi, anni 21, nata a Varazze, di estrazione piccolo borghese per non dire proletaria. Ex operaia dell’azienda Sauli. Un giorno viene notata dal direttore generale e la sua vita cambia da così a così. Si sposa, diventa una delle donne più ricche della città, pellicce, automobili (quella guidata da Michela è una Porsche 911 serie 964 coupé, con il sedile posteriore carico di shopper di carta dorata dall’aspetto costoso, ndr) ma c’è qualcosa che manca…il sex!

Il comico è sempre uguale in ogni parte del mondo, solitamente punta al basso, alla pancia e volentieri anche più giù. E sappiamo quanto il cinepanettone sia la summa del lubrico, un compendio della carne che emerge. In questo caso, si tratta dell’annosa disputa tra giovani e vecchi. Sarà proprio il vitale Marcolin a poter soddisfare le voglie troppo a lungo sopite? Già sappiamo che questa eventualità non succederà mai, il basso comico deve rimanere incompiuto, il bello è vedere perché.

Per aggirare lo scandalo, per evitare turbolente dicerie allo status quo, i due fuggono dalla città e riparano nella camera di uno Sheraton di Bergamo. Luogo densamente simbolico, carico di non detti e di misteri. Alberghi internazionali, costruiti per venire incontro alle esigenze della nuova classe sociale del terziario avanzato, maschi abbastanza ricchi ma ancora non troppo, sedotti da nuovi oggetti e con l’ambizione a volerne sempre di più. Uomini in viaggio per lavoro, da soli, costretti a dormire lontano dalle mogli, dalle famiglie, distanti dalle proprie abitudini alla luce del sole. Cosa succederà, in questi luoghi così lontani, nelle periferie delle maggiori città italiane?

Dopo varie peripezie e uno sfortunato incontro con il Presidente Sauli in persona, costretto a passare una notte in quello stesso albergo a causa di uno sciopero del personale di volo e di terra – maledette vertenze sindacali –, la donna non riuscirà a coronare il loro sogno erotico e l’uomo perderà la scommessa da un milione di lire. Michela tornerà ad accudire il marito, Roberto sarà promosso ad autista personale del presidente. Aprendo il finale a eventuali altri incontri con la bella moglie ma senza polo Lacoste sbottonata e occhiali da sole, indossando, invece, l’impeccabile e castigata livrea da chauffeur.

Un’epoca stava finendo. Quei giovani splendidi, diventati improvvisamente grandi, avrebbero riposto il loro edonismo nell’armadio di una nuova storia di crisi politiche ed economiche. Nel 1990, Gianni Nannini ed Edoardo Bennato dovevano cantare Notti magiche Inseguendo un goal, per celebrare i fasti di Italia ’90, la nazionale in casa. E dopo il boom di Fratelli d’Italia, il cinepanettone, orfano dell’ottimismo e della vitalità della sua classe sociale di riferimento, sarebbe diventato una forma vuota, da riempire di mostruosità e corpi scolpiti da plastica e acciaio.

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Tag: Carlo Vanzina Christian De Sica Enrico Vanzina Jerry Calà Massimo Boldi Neri Parenti Sabrina Salerno

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