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Joker 2 è coraggioso, smargiasso, sgangherato e inutile. Insomma, un cult
Cinema
Qualche giorno fa leggevo di un utente social che, in riferimento al controverso esordio documentario di Todd Phillips su GG Allin, sosteneva di volersi erudire su tutta la filmografia del regista. Qualcuno gli rispondeva qualcosa del tipo: «Vuoi erudirti su Una notte da leoni?». Forse il fenomeno dell’autorialità attribuita ai capi cantiere del mondo blockbuster può riassumersi con questo episodio. È come se, di punto in bianco, il pubblico mainstream puro avesse deciso di scimmiottare prassi e teoretica da cineclub inventando una propria fenomenologia del ruolo dell’autore. Non che non sia possibile, ma siamo sicuri che tutta la balla della Zack Snyder’s Cut e simili sia una cosa sensata?
Comunque qua non si parla di quel feticista della slow, ma di Todd Phillips, uno che, forse proprio in risposta a questo fenomeno, forse inconsapevolmente e forse favorito da un’ondata già avviata da altri autori veri (Burton, Nolan), ha tentato di fare un film d’autore vero: cioè il Joker del 2019. Così facendo, però, si è reso conto che per operazioni del genere ci vuole una visione. E dalla visione scaturisce una cifra, e la cifra, si sa, è il seme per l’autorialità. Non sappiamo bene come sia andata, ma la questione delle derivazioni palesi (es. King of Comedy di Scorsese) fu messa un po’ da parte e alla fine, come un fulmine a ciel sereno, Joker si fissò nell’immaginario in qualità di instant classic, prodotto definitivo, anomalo e originalissimo nell’universo cine-fumettistico mondiale. Oggi che Joker 2 giunge in sala sull’onda di quel successo stratosferico, cosa rimane di quel rombo di tuono?
Prima la trama, in breve: un paio di anni dopo l’arresto, Arthur Fleck (Joaquim Phoenix) è rinchiuso nel manicomio di Arkham, ha pubblicato un libro ed è idolo di pubblico e media che, dal mondo esterno, continuano a enfatizzarne le gesta. Tra i suoi sostenitori c’è un’altra paziente dell’istituto, tale Harleen “Lee” Quinzel (Lady Gaga). I due si innamoreranno per poi darsi alla fuga.
Quindi, che cosa rimane? A nostro avviso, il corpo sghembo di Phoenix e il tentativo di autorialità che si fa smargiassata coraggiosa. «Ah! Mi avete chiamato autore? Beh, allora faccio il Cimino e faccio fallire la United Artists!», sembra volerci dire Phillips. «Impossibile», rispondereste voi. E invece il regista ce l’ha quasi fatta, nel senso che è riuscito a restaurare un fenomeno che appartiene alla classicità del cinema contemporaneo, cioè il flop, oggetto fondamentale in quanto seme del cult. Qualche esempio? Blade Runner, Heaven’s Gate, The Thing, One from the heart. Ironico che Joker 2 esca proprio a ridosso di un altro flop annunciato, Megalopolis, diretto dall’autore dell’ultimo titolo della lista e di moltissimi altri flop poi cultizzati (Coppola, quasi tutta la sua filmografia).
Ma perché Folie à Deux è così poco amato? Beh, essenzialmente, perché è un film deprimente che evita con ogni mezzo ciò che l’appassionato dell’universo batmaniano si sarebbe aspettato, cioè l’esordio del Joker in qualità di villain fumettistico. Il (non) personaggio continua invece una sua involuzione ricorsiva che proietta sotto forma di stacchetti musicali, sequenze particolarmente sgradite al pubblico appassionato di cinecomic che poco ama (o conosce) il musical e ancor meno apprezza il genere scelto per l’occasione, che non è certo il rock/pop di James Gunn. Le prove attoriali sono invece indiscutibili, reggono tutta l’impalcatura dell’impresa e la Harley Quinn di Lady Gaga è genuinamente inquietante.
Il resto è spoliazione, destrutturazione, inverosimiglianza, (auto)sabotaggio, sperimentazione tra generi. Il “coraggio”, appunto, virtù che tuttavia non impedisce alla noia di insinuarsi in uno script che trova l’esplosione ma dimentica di stabilire l’innesco. Joker, ad esempio, si difende da solo in aula di tribunale: sarebbe una scena epocale se solo ci si arrivasse drammaturgicamente. E invece no, l’episodio iconico è lanciato lì, come una piadina su un parabrezza, senza alcun climax. Poi si involve ancora, fino al definitivo (auto)sabotaggio di cui sopra, fatale per l’aspirante autore di cinecomic che tenta il passo più lungo della gamba e tracolla esausto in attesa della gloria, quella che arriverà tra qualche anno, quando Folie à Deux sarà un cult riabilitato dal solito slancio vintage, marrone come tutto il resto dell’universo anni Ottanta di questa piccola e insolita follia anni Venti.