Il film Her (tradotto Lei in Italia), del regista Spike Jonze, ci racconta di Theodore (Joaquine Phoenix), un copywriter di struggenti lettere d’amore che sta divorziando da Catherine (Ronney Mara) dopo una lunga relazione. Siamo in una Los Angeles ipertecnologica e nella vita di quest’uomo, che attraversa un’evidente fase depressiva, transita una sola amica, Amy (Amy Adams) fino alla scoperta di un sistema operativo creato con l’intelligenza artificiale fortemente intuitivo che inizia a occupare il suo tempo e, pian piano, tutta la sua sfera emotiva: attraverso il rapporto con questo strumento, Samantha (Scarlett Johansson), Theo dovrebbe solo organizzare alcuni aspetti pratici di lavoro, ma il suo coinvolgimento lo porta a perdere il contatto con la realtà della situazione.
È opportuno vedere questo film in lingua originale, perché altrimenti si perderebbe completamente il lavoro d’attore efficace e straordinario di Scarlett Johansson.
Siamo abituati a pensare che un attore non possa prescindere dalla sua presenza fisica, salvo il fatto che non stia dando voce dichiaratamente a una narrazione, come nel caso di un audiolibro o di una lettura recitata. Qui l’attrice non compare mai fisicamente, eppure la sua presenza è fortissima e molto sentita, non solo dal protagonista, ma soprattutto dal pubblico. Spike Jonze, autore anche della pluripremiata sceneggiatura del film, ha lavorato a stretto contatto con la Johansson per quattro mesi interi e bisogna ammettere che l’esperimento è decisamente riuscito.
Da un lato la trama porta a riflettere in merito a una deriva comunicativa che sta ampiamente prendendo piede, ovvero quella di interporre un dispositivo nelle forme di comunicazione con gli altri, e in particolare la messaggistica e la telefonia su mobile. Dall’altro, viene automatico pensare alla cerebralità delle relazioni umane. Lo sviluppo della relazione si realizza tra un uomo e una voce, per cui tutto è basato in modo sostanziale su dialoghi. Tuttavia, è sorprendente come è possibile ritrovare una mappa dettagliata di una tradizionale relazione d’amore tra due persone, gli imbarazzi dopo una notte di sesso (anche se qui è telefonico, naturalmente), il calo della libido, i dubbi sulla relazione, la prima uscita a coppie, il desiderio di rendere felice l’altro anche con dei gesti importanti come fargli pubblicare, a sorpresa, un romanzo, le perplessità sul futuro.
Onestamente, non c’è niente che non venga percepito attraverso le interpretazioni del testo e l’espressività della voce della Johansson, ogni sua parola è chiara, ogni intenzione nel dialogo emerge in modo naturale e molto limpido.
In sostanza, questa figura femminile è stata cancellata, privata della fisicità (per un’attrice che, tra l’altro, ha una bellezza aliena), dell’età e di tutti i suoi aspetti più fastidiosi; si può accendere e spegnere, non si fanno figli con lei, in genere è programmata per essere comprensiva ed empatica, è sempre presente (e nell’unico momento di vuoto si scatena un autentico panico), supporta il suo partner e lo incoraggio senza chiedere lo stesso in contrario, è gelosa delle altre donne.
Sembra proprio l’incarnazione della donna perfetta, tranne per due aspetti. Il primo è che con lei non si può avere un rapporto in esclusiva (Samantha dichiara oltre otto mila rapporti telefonici e con seicentoquarantuno di questi ha relazioni d’amore), cosa che disturba molto il nostro immaturo ed egocentrico protagonista maschile. Il secondo aspetto, invece, è molto semplice: non esiste affatto.
Scarlett Johansson, Her, 2013, regia di Spike Jonze
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