08 settembre 2024

MaXXXine al cinema. Ovvero un dizionario di citazionismo nostalgico

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Il nuovo film di Ti West racconta il viaggio di un'aspirante attrice verso la fama, nella Los Angeles patinata degli anni '80. E strizza l'occhio a un (soddisfatto) pubblico di cinefili

MaXXXine
MaXXXine, 2024

Los Angeles, 1986. Maxine Minx (interpretata da Mia Goth) è in cerca di riscatto artistico nella Hollywood degli anni ’80 e, mentre sullo sfondo Richard Ramirez compie le sue efferate gesta, la giovane pornostar dovrà smarcarsi da misteriosi persecutori che vorrebbero ricollegarla ai fatti sanguinosi narrati nel primo capitolo della trilogia composta da X: a sexy horror story (2022) e Pearl (2023). 

Esistono due modalità con cui considerare un film come MaXXXine. La prima è quella cinefilica a cui il regista Ti West sembrerebbe ammiccare, quel pubblico chiamato in causa alla ricerca dell’easter egg o dell’errore cronologico (tipo definire Demi Moore “una star” appena all’alba di Sant’Elmo’s Fire, ma forse è un easter egg pure quello), richiamando l’attenzione su un piccolo dizionario di citazionismo nostalgico; un pubblico studiato ma non troppo, che percepisce l’efficacia del finto rollio dei titoli durante una sequenza d’apertura che inverte la sorte del protagonista di Body Double trasformandolo, per l’appunto, in Maxine, praticante e non osservatrice, sovvertitrice del voyeurismo. E infatti questa eroina debella mitologicamente il destino a cui sembrerebbe condannata: il porno come l’arresto. Ma il film, per sua natura e per suo genere, è tutto voyeuristico, perché è un horror e perché è un film. Ciononostante esso agisce graficamente in sottrazione, tralasciando gli aspetti più espliciti del porno che racconta. Interessante maniera, questa, che lo avvicina davvero all’epoca in cui è ambientato – siamo nel 1986 – in cui la fiorente industria dell’orrore aveva abbandonato l’exploitation shock del decennio precedente per indugiare su una violenza più patinata.

In tal senso, MaXXXine narra la mitologia dell’off-Hollywood di quel periodo. Cioè Craven, citato nel Kruger non Kruger che emerge dai tratti del predicatore; Carpenter, attraverso la figura di una finta Debra Hill; Cronenberg, attraverso quella Marilyn Chambers protagonista di Rabid che dal porno proveniva (e a cui sarebbe tornata, senza gloria alcuna, se non postuma); i numeri romani sui sequel horror compresi quelli di Psycho; e poi, dicevamo, la Hill che noi facciamo finta di veder apparire nel sembiante di Elizabeth Debicki, però in forma rieditata, fantasiosa e sincretica. Ucronica, diremmo, come l’ambientazione stessa, in cui Maxine si smarca dal passato narrato in X, chiede riscatto citando gli esordi poco chiari di Travolta, Shields, Moore, ma romanzando la vicenda della Chambers, e lanciandosi in una produzione salvifica che non è mai esistita – The Puritan 2 – che è una specie di seguito del demoniaco settantino che ricalcherebbe cose tipo L’Ossessa o Sentinel (cioè gli epigoni de L’Esorcista).

In effetti si tratta solo di una metafora dell’avvento della patinatura del nuovo horror ottantino, fresco e vitale, in qualche modo salvifico anche se più commerciale. In tale maniera anche molti film reali sembra quasi che non esistano: Texas Chainsaw Massacre si esaurisce nella memoria dei fatti accaduti in X; Debicki, poi, è schizzata, europea, tutta autoriale, una figura improbabile per un set horror di quegli anni. Rappresenterebbe piuttosto un modello di sovversione della realtà storica. E il regista Ti West, nel suo piccolissimo modo da ex serie C, tenta la strada di un Tarantino che uccide Hitler, lo fa rovesciando l’intro di De Palma sopra citato. Così gli Universal Studios mostrano mille cose ma le ignorano tutte, ciò che conta è il set di Psycho di cui, curiosamente, viene menzionato il seguito del 1982, ma non quello (molto maxxxiniano) del 1986. Ucronia, appunto.

MaXXXine, 2024

Un mondo reale distorto, fatto di simbologie rieditate, come il videotecario consapevole della portata del cinema di genere nel 2024. Ma, in fondo, ciò che importa è la dinamica di questo episodio di una saga femminista in cui l’intrattenimento è la veste («il mezzo è il messaggio», direbbe qualcuno). MaXXXine è forse il segmento migliore, saggio di maniera dell’A24, una compagnia di produzione che, in una sorta di superfusione tra Cannon e United Artists sta fornendo ai posteri un identikit che al cinema dei Duemila mancava. Il risultato è quello di ottenere un oggetto filologico, recensibile, e così il pubblico della prima modalità è soddisfatto.

Poi, naturalmente c’è la seconda modalità. Cioè la prima, ma senza tante domande. A voi la scelta. Ed ecco il tema di fondo di questa insolita trilogia femminista. La scelta. Tolto il citazionismo, naturalmente.

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