Regista, sceneggiatore, montatore, critico cinematografico, pioniere della Nouvelle Vague, figura di intellettuale radicale e immerso nel proprio tempo, maestro per i suoi contemporanei e per le nuove generazioni, Jean-Luc Godard è morto a 91 anni. A diffondere la notizia, il quotidiano parigino Libèration. Sullo stesso giornale, nell’aprile 2021, aveva firmato, insieme ad altre personalità dello spettacolo e della cultura, un appello a Emmanuel Macron per richiedere la scarcerazione in libertà vigilata di alcuni ex terroristi italiani ed ex militanti di gruppi eversivi di sinistra, accusati e condannati in Italia per omicidio, sequestro, tentato omicidio.
Nato a Parigi, il 3 dicembre 1930, da una ricca famiglia borghese protestante di origine svizzera, Godard studiò prima i in un collegio svizzero e quindi, dopo il liceo, frequentò la Sorbona, diplomandosi in Etnologia nel 1949. Già nei primi anni Cinquanta si fece conoscere per le sue brillanti e coraggiose critiche cinematografiche, pubblicate su riviste come “Arts” e “Cahiers du cinéma”. Nel 1952 firmò, con lo pseudonimo di Hans Lucas, un saggio nel quale era già espressa la sua idea di arte come meccanismo totalizzante, trasversale e di rottura.
Dopo alcune esperienze nella scrittura di cortometraggi, il suo primo film doveva arrivare nel 1959: era “À bout de souffle”, “Fino all’ultimo respiro”. Soggetto di François Truffaut, fotografia di Raoul Coutard, con dei giovanissimi e ancora poco conosciuti Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg nel ruolo dei protagonisti, sarebbe diventato il manifesto della Nouvelle Vague e uno dei simboli del cinema contemporaneo. Dalla seconda metà degli anni ’60, la svolta dichiaratamente politica: per Godard il cinema doveva diventare il luogo in cui criticare le ipocrisie della civiltà dei consumi, riflettendo sullo statuto stesso dell’immagine, come portatrice naturale – ma non neutrale – di un’ideologia.
Fu proprio in questi anni, sulla spinta del dinamico ambiente culturale francese, che nacquero film iconici, come “Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution” (Agente Lemmy Caution: missione Alphaville), “Pierrot le fou” (Il bandito delle 11), “2 ou 3 choses que je sais d’elle” (Due o tre cose che so di lei) e, soprattutto, “Bande à part”, del 1964, uno dei titoli più citati di sempre, da Quentin Tarantino, che così ha chiamato la sua casa di produzione, a Bernardo Bertolucci, che riprese la famosissima sequenza della corsa nel Louvre per il suo film del 2003 “The Dreamers”.
Il 18 maggio del 1968, Godard, insieme a un gruppo di cineasti, tra i quali Truffaut, Claude Lelouch, Roman Polański, Louis Malle e Jean-Pierre Léaud, irruppe al Festival di Cannes, per protestare contro la decisione del ministro della cultura, André Malraux, di rimuovere Henri Langlois dal posto di direttore della Cinémathèque française. Fu in questa occasione che i registi fondarono la SRF – Société des Réalisateurs de Films che, dall’anno successivo, avrebbe organizzato una selezione parallela a quella ufficiale del Festival, la Quinzaine des Réalisateurs, attiva ancora oggi.
Nei primi anni ’70 fondò il Gruppo Dziga Vertov, collettivo di autori francesi composto, tra gli altri, da Jean-Pierre Gorin e Jean-Henri Roger, per contrastare la “politica degli autori”, supportata invece dall’amico Truffaut – con il quale avrebbe poi litigato – a favore di una posizione collettiva e anti autoriale. Fu in questo periodo che girò “Le Vent d’est”, unico film nel quale Godard lavorò con l’attore italiano Gian Maria Volonté, anche egli politicamente schierato, e “Tout va bien” (Crepa padrone, tutto va bene).
Dopo lo scioglimento del Gruppo e un incidente stradale, dagli anni ’70 avrebbe iniziato a sperimentare le possibilità delle tecnologie elettroniche e delle nuove strumentazioni video. Una ricerca proseguita fino alla fine. Nella sua lunga e prolifica carriera Jean-Luc Godard ha ricevuto decine di premi e onorificenze, dal Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1983, per “Prénom Carmen”, all’Oscar alla carriera nel 2011.
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