Nato sul suolo bielorusso e successivamente cresciuto su quello ucraino, da oltre ventāanni Sergei Loznitsa si dimostra essere uno dei registi contemporanei piuĢ attenti nei confronti di una particolare memoria storica e della sua rielaborazione. La sua filmografia, infatti, si muove tra finzione e documentario scandagliando alcune forme del vivere nellāest Europa cosiĢ come le fondamentali complessitaĢ geopolitiche che vi si intrecciano.
Nel 2006, per esempio, Loznitsa realizza Blockade, un film di montaggio in cui utilizza immagini trovate nellāarchivio di Mosca riguardanti lāassedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale, ricreando meticolosamente il suono a partire dalle sole immagini mute; ma questo eĢ solo il primo tassello di un percorso di senso e di esplorazione politica del passato che si eĢ andato intensificando e tuttora procede ininterrotto.
The natural history of destruction eĢ lāultimo lavoro del regista, presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2022 e atteso presto nelle sale italiane. Il titolo eĢ programmatico: Loznitsa sceglie di rubarlo al celebre saggio di Winfried Sebald del 1999, riprendendone lāorizzonte tematico dei bombardamenti e della distruzione sistematica delle cittaĢ tedesche da parte degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale. A partire da tale questione, il complesso montaggio del film giustappone due categorie di immagini: quella tecnocratica e propagandistica dellāapparato bellico e quella umana che ne viene direttamente influenzata e che ne eĢ vittima. Una posizione non semplice, dato che non rappresenta i due schieramenti politici in modo netto e manicheo, ma sposta continuamente il punto di vista tessendo una fitta trama di sguardi.
La prima sequenza del documentario vede una serie di immagini di normale vita quotidiana nella Germania pre-bellica, tra la campagna e la cittaĢ, in un placido vivere che nasconde un male non ancora pienamente esploso. Il montaggio qui si rende invisibile cucendo assieme filmati diversi in un flusso omogeneo come in un film di finzione, seguendo le direttive degli sguardi e facendosi guidare dal perfetto soundscape ricreato. Viene posto qui lāaccento sul fare manuale, sullāimportanza dellāartigianato, del corpo al lavoro e della tranquillitaĢ del vivere, in forte contrasto con quello che arriveraĢ dopo e che chiaramente ci si aspetta. La piena crescita del nazismo si nota nelle immagini dellāurbano, non in modo plateale e drammatico, ma nei dettagli: in una plongeĢe sulla strada si vedono uomini in uniforme nazista che passeggiano assieme alle persone, le bandiere con la croce uncinata si notano grazie ad un piccolo movimento di macchina prima sullo sfondo, come dettagli, e poi a tutta inquadratura.
Subito dopo, la guerra irrompe improvvisamente con la prima serie di bombardamenti. In questa seconda macrosequenza, il film sposta lāattenzione verso le immagini di propaganda degli Alleati e il sistema di produzione degli aerei da guerra nella sua perfetta efficienza. Attraverso il montaggio, Loznitsa alterna le immagini della costruzione degli aerei a un discorso patriottico di Bernard Montgomery, che annuncia a un pubblico entusiasta la superioritaĢ degli armamenti britannici rispetto a quelli tedeschi, e successivamente alla visita di Churchill a uno dei luoghi di Londra distrutti dagli attacchi del Reich, tra le macerie dei vincitori. In questo forte contrasto si profila il tentativo del regista di non semplificare le opposizioni tradizionalmente proiettate, non per farne un discorso moralista o addirittura di supporto a un regime totalitario ma per mettere in luce le complessitaĢ del discorso, il peso delle parole dei leader nella propaganda e il ruolo del popolo che, qualunque sia la fazione, rimane sempre lo stesso.
EĢ importante notare come Sergei LoznitsaĀ riesca perfettamente a spiegare cioĢ che accade senza alcun tipo di didascalia esplicativa, incrociando i punti di vista per mettere in scena la produzione della distruzione e cioĢ che essa provoca.Ā Uno dei film precedenti del regista, Babi Yar. Context, girava attorno ad un singolo evento traumatico, quello del massacro di trentamila ebrei da parte dei nazisti nel fossato di Babij Jar. Chiaramente la strage non fu documentata, e le uniche tracce che ne rimangono sono delle fotografie dei vestiti rimanenti sul suolo: come tanti altri documenti relativi allāOlocausto, Babi Yar. Context non puoĢ fare altro che girare attorno allāevento, in seĢ irrappresentabile, per poterlo contestualizzare e definire attraverso lāassenza. The Natural History of Destruction, al contrario, mostra apertamente le immagini del trauma, sempre attraverso una ridefinizione del loro regime di visibilitaĢ. La prima scena di bombardamenti avviene nel buio della notte: sullo sfondo nero appaiono delle macchie luminose che si possono riconoscere come cittaĢ in fiamme, e ci si rende presto conto che la soggettiva eĢ quella degli aerei che lasciano cadere le bombe. La scena peroĢ non si mostra in modo definito e cosiĢ diventa altro: lāimmagine si fa sempre piuĢ astratta nel montaggio e nella perdita di fuoco che fonde le macchie luminose e trasforma la vista di una cittaĢ in un cielo stellato. Si assiste direttamente a quello che Sebald descrive nel suo libro e che viene raccontato da coloro che erano su quegli aerei: Ā«Wall of search lights, in hundreds, in cones and clusters. Itās a wall of light with very few breaks and behind that wall is a pool of fiercer light, glowing red and green and blue, and over that pool myriads of flares hanging in the skyĀ».
The natural history of destruction mostra anche un altro lato del trauma relativo alla distruzione, e cioeĢ quello dellāimmediato progetto di ricostruzione attuato dal popolo tedesco, di cui tratta anche Sebald. Verso la fine del film, una serie di inquadrature sulle cittaĢ devastate vengono accompagnate dal discorso di un gerarca nazista che parla della necessitaĢ di un contro-terrore: la voce rimbomba tra le macerie senza risposta. Subito dopo inizia una lunga carrellata tra le rovine di una cittaĢ in cui le persone si sono giaĢ mobilitate per poter ricominciare a vivere lo spazio urbano, file di persone sui cumuli di detriti per recuperare i corpi e ripensare lo spazio. CosiĢ accostate, queste scene mostrano come quello che si vede sia una risposta a quel vissuto che non viene elaborato: come scrive Angela Mengoni a proposito di Gerhard Richter, Ā«la corsa alla ricostruzione e al consumo e lo sgombero immediato delle rovine, disturbanti āingombri visiviā, verrebbero a configurarsi come vere e proprie strategie di difesa psichicaĀ».
Lāoperazione che Sergei LoznitsaĀ attua da quasi ventāanni a questa parte non eĢ solo di recupero, restauro e rimontaggio di materiali dāarchivio preziosi e fondamentali per capire e riguardare la Storia, ma eĢ anche un tentativo di riattivare un pensiero su queste immagini, anche attraverso la loro sonorizzazione. La visione di questi filmati eĢ sempre straniante poicheĢ non si eĢ veramente abituati a sentire quello che mostrano: questo crea un effetto di iperrealismo che allo stesso tempo permette una vicinanza ma anche un distanziamento da cioĢ che si vede. The natural history of destruction eĢ, anche piuĢ di altri film del regista, un ragionamento su quel āri-presentarsi di un passato mai davvero integratoā su cui, sempre secondo Mengoni, si basa lāAtlas di Richter; laddove peroĢ Richter lo fa in modo frammentario e non sistematico, Loznitsa si rende piuĢ esplicito anche nella complessitaĢ e nellāambiguitaĢ del montaggio. La sonorizzazione del materiale dāarchivio, cosiĢ meticolosa e ragionata, rimane lāaspetto piuĢ stupefacente del film, poicheĢ rappresenta un tentativo di dare profonditaĢ allāimmagine per tenere attivo quel passato āfatalmente incrostato nel presenteā, inassimilato e quindi inesperito. Questo aspetto si rende ancora piuĢ forte nella manipolazione digitale dellāimmagine: lāinterpolazione daĢ la possibilitaĢ di una visione straniante, fa nascere frame liĢ dove cāeĢ il vuoto della Storia, fluidificando lāimmagine la riporta a un aldiquaĢ temporale che diventa quasi perturbante nella sua impossibilitaĢ. EĢ qui che si situa la potenza di riflessione del film: nella riattivazione di un passato che rimane presente, ripresentandosi nellāincrocio degli sguardi, tra una visione aerea e una casa in fiamme.
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