Halla (Halldora Geirharosdottir) vive in Islanda, dove dirige un coro e frequenta poche persone, tra cui la sorella Asa, che è insegnante di yoga e meditazione. Ma Halla ha una vita segreta da ecoterrorista, ovvero sabota centrali elettriche collegate a impianti siderurgici. Le cose cambiano quando lei e la sorella scoprono di aver ottenuto l’affidamento di una bambina ucraina, condizione che non permetterà più ad Halla di mettere a rischio la sua libertà.
Esiste un tema legato all’ambiente, all’effetto serra, al clima, all’esaurimento delle risorse, ai danni subiti dal nostro pianeta. A dire il vero, anche se è un solo tema, ci sono tanti capitoli che si aprono e che si distribuiscono sotto allo stesso ombrello. Stante le immagini e la fotografia che questo film ci restituisce, l’Islanda è una terra meravigliosa e apparentemente incontaminata, soprattutto se il nostro orizzonte quotidiano è di tipo urbano e, spesso, con annessa una o più aree chiamate industriali, dove gli insediamenti sono in gran parte destinati alla produzione.
Esiste, d’altro canto, un altro tema, che è quello economico, alle cui regole, in varia misura, tutti ci atteniamo per soddisfare il crescente bisogno materiale, di comodità e di cose. Esistono alcune figure estremiste che non accettano regole, che per cercare di far giungere un messaggio alle giuste orecchie si prestano ad azioni eclatanti che, spesso, hanno una connotazione che fa discutere, sicuramente, ma allo stesso tempo ha un sapore eroico.
L’ecoterrorismo nasce come movimento di controcultura anni Settanta negli Stati Uniti e ha avuto un percorso altalenante ma non si è mai esaurito del tutto. Lo scopo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e danneggiare le grandi aziende bersaglio delle azioni, fino al fallimento, attraverso gesti plateali e oltre la legalità. Ovviamente Halla non ha questa potenza, ma riesce comunque a mettere in crisi il governo.
L’arrivo di una figlia adottiva le apre, però, una prospettiva diversa: se volesse continuare a intraprendere queste azioni radicali, l’assunzione del ruolo materno la porterebbe inevitabilmente a rivedere le sue scelte, dato che dovrebbe occuparsene completamente da sola perché priva di un supporto di qualsiasi genere, non avendo un partner e con la sorella intenzionata ad approfondire il suo percorso interiore trasferendosi in India.
Contemporaneamente, una donna capace di gesti così intensi e brutali, ha un lato poetico legato alla conduzione di un coro ed è delizioso il modo in cui il canto di queste persone e l’affetto nei confronti di Halla siano un concerto di delicatezze e sentimenti autentici. La musica assume, tra l’altro, un ruolo cruciale in tutta la narrazione, attraverso la presenza di musicisti che intensificano i loro interventi a seconda dell’intensità delle scene, quasi incarnassero l’anima della protagonista.
Sembra che le donne abbiano, in media, un atteggiamento di maggior sensibilità ambientale rispetto agli uomini, dal prendere più mezzi pubblici, all’attenzione nella raccolta differenziata, dalla scelta per prodotti più compatibili con l’ambiente a una spesa mirata per prodotti etici.
Halla e Asa sono interpretate in modo estremamente brillante da Halldora Geirharosdottir, all’interno di questa produzione indipendente che rivela una struttura narrativa molto originale, con una parte affidata alla musica in modo complementare al racconto.
Halldora Geirharosdottir, La donna elettrica, regia di Benedikt Erlingsson
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