Charlotte (Scarlett Johannson) si trova a Tokio con il marito John, che è un fotografo di successo. Soggiornano in un grande albergo di lusso, lui è molto impegnato con il lavoro e Charlotte trascorre tanto tempo da sola. Incontra un famoso attore americano in declino, Bob Harris (Bill Murray) e tra i due nasce un rapporto in cui condividono diverse sensazioni, come la solitudine, lo straniamento in un contesto culturale diverso, il rapporto col partner. Tutte queste emozioni vengono tradotte da Charlotte e Bob nel linguaggio che appartiene alle rispettive generazioni e fasi della vita, vista la differenza di età.
Spesso capita di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non tanto perché una città stimolante come Tokio non sia adatta, ma perché trovarsi in un luogo così diverso dalla nostra cultura mentre siamo nel mezzo di una crisi di identità potrebbe non essere facile.
Charlotte ha 25 anni e si è sposata con John due anni prima, dopo essersi laureata in filosofia. È cresciuta a New York, ma con il matrimonio si è trasferita a Los Angeles ma fa molta fatica ad ambientarsi. Il marito è totalmente assorbito dal lavoro mentre lei, che sta ancora cercando la sua strada, trascorre molto tempo da sola. A Tokio Charlotte si scontra anche con il problema della lingua, delle abitudini, del cibo. E di una quantità di tempo in cui è inevitabile riflettere e incappare continuamente con pensieri, dubbi e riflessioni in merito alle proprie scelte.
In momenti come questo, ci sono degli interstizi che si creano tra i pensieri e nei quali si possono inserire delle persone che non avremmo mai incontrato o notato, in altre circostanze. Incredibilmente, ci troviamo a condividere del tempo con queste persone, a condividere pensieri anche molto intimi perché sentiamo che il mondo al di fuori di quella relazione, anche negli affetti più stretti e vicini, non sia in grado di comprendere pienamente.
Charlotte incontra Bob, prima in ascensore, poi in preda all’ennesimo attacco di insonnia che la sposta al bancone del bar dell’hotel in piena notte. Anche Bob non dorme, trova assurde alcune abitudini giapponesi, fa fatica a comunicare. Anche Bob è in crisi con la moglie e non si capiscono, sembrano essere focalizzati su cose diverse. Anche Bob, come Charlotte, si sente solo.
Charlotte si affeziona a quest’uomo velocemente, passano molto tempo assieme, lo porta con alcuni amici giapponesi a trascorrere una serata in cui cantano al karaoke e gli confida le sue insicurezze. È una donna giovane, ha la vita davanti ma non sa dove piazzare il primo mattone per costruirsi il futuro, caratteristica costante di chi ha una formazione smaccatamente umanistica. Ha cambiato città, spostandosi da New York a Los Angeles, un cambiamento importante con risvolti che condizionano il piano delle relazioni e del modo di vivere. Il ragazzo che ha sposato non ha tempo di ascoltarla e non riesce a capire il suo stato d’animo in questo momento. “Dopo un po’ il matrimonio migliora?” chiede a un certo punto Charlotte a Bob, come se dentro di sé sapesse già la risposta ai suoi dubbi sulla faticosa quotidianità degli equilibri di una relazione.
La giovane e adolescenziale espressione del viso di Scarlett, all’epoca del film appena diciottenne, dona al personaggio un’aria ingenua e trasognata, restituendo poesia e spontaneità a un film denso di poesia e ironia, con una fotografia insolita sul tema della comunicazione e delle relazioni e una collezione di premi internazionali.
Pop Corn #16, Scarlett Johannson, Lost In Translation, 2003, regia di Sofia Coppola
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