Con la cerimonia di premiazione si è conclusa l’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un festival segnato dall’importante sciopero degli attori che ancora continua negli Stati Uniti. Nonostante il cambio inatteso del film di apertura, che ha fatto perdere al festival il nuovo film di Luca Guadagnino, non sono mancati i grandi nomi del cinema internazionale: David Fincher, Michael Mann, Sofia Coppola, Yorgos Lanthimos, Matteo Garrone, Ryusuke Hamaguchi, Pablo Larraín, Woody Allen, Roman Polanski, Harmony Korine, Wes Anderson e molti altri che hanno arricchito un programma stellare.
La giuria, capitanata da Damien Chazelle, ha portato un palmarès in linea con i gusti di pubblico e critica premiando i grandi favoriti Poor Things! di Yorgos Lanthimos con il Leone D’Oro, Evil Does Not Exist di Ryusuke Hamaguchi con il Gran Premio della giuria, Io, Capitano di Matteo Garrone con il premio per la miglior regia e Green Border di Agnieszka Holland con il premio speciale della giuria. Le aspettative erano indubbiamente molto alte ma sembrano essere state soddisfatte solo in parte, con alcune delusioni piene o parziali. Di seguito vi raccontiamo i nostri tre film preferiti del festival e i due che ci hanno deluso.
Il vincitore del Leone d’oro è anche il film che abbiamo preferito tra quelli del concorso. Dopo La Favorita, già vincitore del Gran Premio della giuria a Venezia 75, il regista greco Yorgos Lanthimos torna alla ribalta mettendo in scena una fiaba nera dai toni barocchi ed eccessivi, sempre pregna di un umorismo spiazzante. Una dirompente Emma Stone, nella performance migliore della sua carriera, incarna Bella Baxter, una ragazza che trova nella ribellione al suo ambiente l’unica via per un’autentica (ri)scoperta di sé, del proprio corpo, della propria identità. Tra colorate scenografie steampunk, una fotografia curatissima puntellata di fish eye (come nel film precedente) e una straniante colonna sonora, Lanthimos perfeziona uno stile che gli è congeniale, portando alla luce la sua creatura più riuscita ed esaltante.
Fuori concorso invece è esplosa la bomba Harmony Korine che ha portato al Lido l’opera più radicale della Mostra. Volendo parlare di trama in senso stretto, si potrebbe dire che AGGRO DR1FT mostri il viaggio di un esperto sicario tra i bassifondi di Miami nel tentativo di raggiungere il suo prossimo obiettivo. Ma quello che abbiamo visto sul grande schermo è molto di più. Korine porta alle estreme conseguenze la sua riflessione sull’immagine e sul digitale creando qualcosa che si avvicina di più a un’opera di videoarte che mescola immagini in visione termica con immagini generate in AI e videogiochi. “Volevo fare ciò che viene dopo un film”, così dichiara il regista, rendendo evidente la sua necessità di abbandonare il linguaggio cinematografico tradizionale per poter creare qualcosa di completamente nuovo e mai visto. Un’esperienza estenuante e allucinante in cui immagine e senso collassano tra la luce e i colori.
Simone Massi, già affermato regista di cortometraggi d’animazione, ha presentato nella sezione Orizzonti il suo primo lungometraggio. Invelle porta sullo schermo sessant’anni di storia italiana dal punto di vista di una famiglia marchigiana a partire dalla fine della prima guerra mondiale per concludersi a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80, nel periodo del rapimento Moro. Ciò che rende speciale questo straordinario film è l’inconfondibile stile di Massi, caratterizzato da un tratto quasi grezzo perché realizzato interamente “a mano”, senza l’utilizzo del computer. Il bianco e nero con qualche punta di colore, le texture ruvide e il tratto sporco e irregolare danno vita a immagini di commovente bellezza in cui le forme non sono sempre perfettamente definite ma si mescolano e si intersecano generandosi l’una dall’altra.
Vincitore del Leone d’argento per la miglior regia e molto acclamato da pubblico e critica, Io, Capitano è una cocente delusione per quanto ci riguarda. Garrone, nel tentativo di raccontare, attraverso la forma della fiaba, l’epica del viaggio di due cugini dal Senegal all’Italia, scade in una retorica facile che appiattisce il discorso politico che potrebbe scaturire da una storia del genere.
Snervanti dissolvenze incrociate e continui droni sul paesaggio africano contribuiscono a un’estetica patinata e fastidiosa che appesantisce ulteriormente un racconto grossolano e senza alcun vero conflitto.
Il peggio visto quest’anno però arriva da Roman Polanski, altro grande atteso del festival. The Palace si presenta come una collezione di maschere grottesche dell’alta borghesia che si trovano a festeggiare il capodanno nel lussuosissimo Gstaad Palace, tra le Alpi svizzere. Questa premessa si tramuta da subito in un continuo ripetersi di sketch che dovrebbero essere comici ma che risultano semplicemente triti e volgari. Il film diventa così un accumulo di situazioni deliranti che dovrebbero culminare in un climax che però non esplode mai, fallendo anche nel tentativo di fare un qualche tipo di commento sul mondo che inquadra. L’ultima, assurda inquadratura chiude un film purtroppo molto brutto e che potrebbe essere tristemente ricordato come quello che fa calare il sipario sulla carriera artistica di un grande regista.
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