Categorie: Cinema

Tardes de Soledad, il rituale del toro: intervista al regista Albert Serra

di e - 5 Novembre 2024

Tardes de soledad è un film documentario del 2024 diretto da Albert Serra incentrato sul mondo della corrida. Il film è stato presentato in anteprima mondiale nel settembre 2024 al 72mo Festival internazionale del cinema di San Sebastian, dove ha vinto la Conchiglia d’oro, e proiettato anche alla 62ma edizione della Viennale, in svolgimento fino al 29 ottobre 2024 e diretta dall’italiana Eva Sangiorgi. In questa occasione abbiamo incontrato il regista, classe 1975, tra i cineasti catalani più apprezzati a livello internazionale, conosciuto per titoli come Historia de la meva mort, con cui ha vinto il Pardo d’oro al Festival di Locarno nel 2013, e Pacifiction, in concorso al Festival di Cannes e nominato dalla rivista di critica cinematografica francese Cahiers du Cinema come il miglior film del 2022.

Albert Serra, ph. Luis Casanova

La mia prima domanda è: perché il titolo Tardes de Soledad?

«Beh, mi sembrava di essere un po’ solo. Avevamo tre idee in mente, è sempre così quando iniziamo un film. Abbiamo deciso il titolo prima di iniziare le riprese, ma durante il montaggio abbiamo pensato di cambiarlo, dicendo: “forse non si percepisce davvero questa solitudine”.

Poi, man mano che montavamo, quando il film era quasi completo, ci siamo detti: “sì, la solitudine c’è”. Non solo quella del torero, che è fondamentale, una solitudine fatta di introspezione, concentrazione, di essere quasi fuori dal mondo, ma anche quella del gruppo, dell’intera troupe. È come se fossero tutti in una bolla, sia nella stanza, nel furgone, che in piazza, lontani dal pubblico, quasi in un altro mondo.

Capisci? C’è questa solitudine anche nel mondo circostante, come una pratica dove sei da solo, in piazza o nella tua stanza. E forse anche il toro, nei primi piani in cui guarda la telecamera, trasmette questa solitudine, l’essere lì, da solo. C’era un senso di malinconia alla fine, nella versione definitiva del film, e l’abbiamo mantenuto. A un certo punto eravamo tentati di dire: “forse non c’entra con quello che stiamo facendo”, ma alla fine ci siamo convinti».

Come è entrato il mondo della corrida nella tua vita?

«Quando ero molto piccolo, andavo in provincia, a nord di Barcellona, con mio padre. C’erano diversi luoghi dove si svolgevano corride, e lui mi portava lì, avevo 5, 6 o 7 anni. Poi questo mondo è scomparso, non era più di moda, molte piazze sono state demolite per far posto a palazzi, e quasi non esistono più, o sono chiuse.

Poi, per caso, dieci anni fa, trent’anni dopo, un amico che era il manager di un torero famoso, José Tomás, mi ha invitato a vedere delle corride. Per trent’anni non avevo mai partecipato a una. Credo di essere in una posizione abbastanza ideale: conosco quel mondo, ma non come un neofita, al punto da poter fare un documentario».

Tardes de soledad, Afternoons Of Solitude, Albert Serra, Spanien/Frankreich/Portugal 2024, V’24 Features

Parli spesso di documentario. Stiamo parlando di un documentario?

«No, credo che vada oltre il documentario, come se fosse un oggetto artistico a sé. Se l’origine è documentaristica, va bene, perché c’è pochissima manipolazione. Ovviamente, ogni film è una manipolazione: il suono, il montaggio, la scelta delle inquadrature, tutto è filtrato. Tuttavia, penso sia un riflesso abbastanza fedele, onesto e bilanciato di ciò che accade in piazza. È una riflessione intima e oggettiva.

Nonostante l’estetica, che è curata, penso che trascenda la semplice documentazione dell’evento reale, assumendo una dimensione quasi onirica, fantastica, barocca, di grande plasticità. In sé, è quasi un’opera d’arte, e per questo motivo non lo definirei solo un documentario».

Sapevi, mentre giravi Tardes de Soledad, che ci sarebbe stato un dibattito pro e contro la corrida?

«Certamente è un tema controverso, ma non mi interessava entrare in questo dibattito. Ho dato per scontato che questo fenomeno esista, quindi ho semplicemente puntato la telecamera per osservarlo con occhi artistici, diversi, strani. Il film non affronta direttamente questo dibattito: il tema è dato, può esistere un confronto, ma è un dibattito che riguarda un altro film, non questo».

Tardes de soledad, Afternoons Of Solitude, Albert Serra, Spanien/Frankreich/Portugal 2024, V’24 Features

Come descriveresti il modo in cui usi la macchina da presa, a tratti ripetitivo, come se fossi in un quadro?

«Deve essere così. Per esprimere tutta la bellezza delle immagini, bisogna insistere, insistere. Non è come se la vita accadesse spontaneamente; c’è una costruzione. I miei film sono molto organici, sfruttano molto la spontaneità della realtà. Non ripeto mai una scena, non chiedo agli attori di fare la stessa cosa due volte. È una performance unica, che non si ripeterà. Tuttavia, il montaggio è sofisticato e costruito.

In questo film ho voluto che fosse un po’ ripetitivo, per emulare la struttura di una vera corrida: ci sono sei tori, due o tre toreri, e accade sempre la stessa cosa. Sei lì, aspettando che la magia accada, in un’attesa che si ripete, e volevo che il film lo riflettesse».

Definiresti Tardes de Soledad come la radiografia della festa dei tori?

«Sì, penso sia il film più bello, onesto e poetico che sia mai stato realizzato su questo tema. Parliamo di feste di alto livello, nelle piazze più importanti come Madrid e Siviglia, e di una tipologia precisa, di alto livello».

Tardes de soledad, Afternoons Of Solitude, Albert Serra, Spanien/Frankreich/Portugal 2024, V’24 Features

Quanto è importante la musica per te?

«Molto. Seguo la filosofia di Godard, secondo cui suono e musica sono la stessa cosa. Nei miei film, specialmente in Pacifiction, non distinguo più tra suono e musica: per me è tutto suono. A volte ci sono sonorità più melodiche e altre meno, ma per me tutto è un’unica colonna sonora».

Come hai scelto Andrés come protagonista?

«Mi sembrava misterioso e fotogenico. Non lo vedevo come lo vedono tutti, in televisione o sui giornali. C’era un altro torero, Pablo Aguado, che forse useremo in futuro, ma alla fine il film si è concentrato su Andrés, per via del dramma e delle sue caratteristiche uniche».

Hai avuto paura?

«Sì, la gente rideva di me perché, a volte, avevo le mani davanti agli occhi!».

I premi sono importanti dopo La Concha de Oro a San Sebastián?

«Sì, ma per me, psicologicamente, non contano. Non c’è nessuno nel cinema meno influenzato da questi riconoscimenti. Tuttavia, sono utili per finanziare il prossimo progetto».

Hai mai pensato al rischio di una catastrofe, di un incidente mortale?

«Sì, ci pensi. Fa parte del rischio».

È un rituale autentico?

«Assolutamente. Per i toreri è un simbolo importante, non solo uno spettacolo. È un rituale profondo, che rimanda a valori, vita, morte, natura e brutalità. È un richiamo al nostro rapporto con tutto questo».

Quali sono le tue influenze?

«Non seguo altri registi. Osservo il cinema contemporaneo per fare qualcosa di diverso, esplorare percorsi che nessuno esplora».

Prossimo progetto?

«Un film sulla rivalità tra Russia e Stati Uniti, oggi. Come durante la Guerra Fredda, due grandi potenze a confronto. Sarà in inglese, con attori americani e russi».

Ultima domanda: di che colore è la tua vita?

«Penso sia verde. Perché mi chiamo Albert, e in catalano Albert significa verde».

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