18 agosto 2024

Tenet di Christopher Nolan, e perché riguardarlo oggi

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Un'unità speciale dei servizi segreti americani è alle prese con strani oggetti dotati di entropia invertita, capaci di viaggiare al contrario e di arrivare dal futuro. Una recensione del film

tenet Nolan
Tenet, Christopher Nolan

Qualche tempo fa ci fu il boom del cinefilismo internettaro dilagante. Tutti si sentivano padroni di un giudizio critico che prima si pensava riservato ai soli intellettuali di sinistra (mito piccolo borghese), dunque finalmente autorizzati a demolire l’autorialità di qualche grande nome. A farne le spese più di tutti fu Christopher Nolan che – vuoi la sfiga – si ritrovò a far uscire il suo film più odiato proprio in quei giorni. Stiamo parlando, ovviamente, di Tenet, pellicola rompicapo non troppo più complessa di Inception (che era una pallida riproposizione dei temi di Total Recall esattamente come Matrix lo era di quelli di eXistenZ), ma stranamente capace di attirarsi livorose critiche anche dai fan delle sue opere precedenti: «No, adesso Nolan l’ha fatta proprio fuori dal vaso!», dicevano. Ma era la stessa opinione riservata in precedenza ad altri autori popolari (es. Lynch per Inland Empire) che avevano avuto il solo demerito di calcare sull’acceleratore della propria cifra con maggior forza, come se questa fosse una colpa. Tale critica coincide tantissimo con il «lo posso fa’ pur’io» davanti a un Pollock e virtualmente colpevolizzerebbe un Picasso solo per aver esagerato nella rinuncia alla figurazione naturalistica. Tanto per dire. Oggi, nel mondo post Oppenheimer che pare aver dimenticato Tenet, è il momento di riscoprirlo, con l’intento di lasciarsi stravolgere dall’eccesso di lucidità di un autore contemporaneo straordinario.

La trama, in breve: un’unità speciale dei servizi segreti americani è alle prese con strani oggetti dotati di entropia invertita, che hanno cioè la facoltà fisica di viaggiare al contrario e che arriverebbero, dunque, dal futuro, procedendo all’indietro. Seguendo lo schema del quadrato del Sator, il protagonista (come lo spettatore) dovrà capire che diavolo sta succedendo.

Il film trova nel mero esercizio una sfida espressiva che si giustifica da sé. In altre parole, l’opera vuole essere rompicapo. Il metatesto di Nolan è: «Nolan che produce un tale manufatto», e ciò spinge lo spettatore alla decodifica delle modalità di ragionamento che ce lo hanno condotto. Poco premiante forse il casting che, ad eccezione di Robert Pattinson che piace e diverte, non trova nei sembianti di John Davidnagh ed Elizabeth Debicki passionalità eroica. Mentre è sorprendente il villain con il volto e le ciabatte di Kenneth Branagh che, in qualche maniera, riesce a essere credibile.

Al netto di questa criticità (francamente caprina) pare difficile credere che i detrattori non siano rimasti affascinati dal fatto che in un’epoca in cui tutto sembrava fatto o detto, qualcuno inventasse un modo radicalmente nuovo e, perché no, “impossibile” di mettere in scena il viaggio nel tempo invertendo l’entropia attraverso l’uso consapevole di una digitalità altrove affossante che non fa rimpiangere nessuna prostetica. Un lavoro che indica una ricerca ponderata dello spettacolo come forma primigenia di senso cinematografico e che ci indica nuove vie. Sarebbe come prendersela con Calvino perché Se una notte d’inverno un viaggiatore non parla di nulla se non della sua stessa struttura oppure con Joyce perché «le virgole poteva pure usarle, che gli costava».

Dove sussiste una coerenza – per quanto discutibile – esiste una visione e con essa una poetica. Forse dovremmo riscoprire il senso di meraviglia che avevamo all’inizio: smetterla di fare i Mereghetti a tutti i costi e tornare a fare gli spettatori. Ecco, ricominciamo da Tenet, oggi che il rischio di mettersi a litigare con qualche schiumante pseudocinefilo infiammato dai vari «non ancora oscar a Di Caprio» tanto affini al «Taylor Swift è la migliore, lo ha detto il TG» è sfumato nelle mode passeggere dei social network.

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