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The White Lotus, un successo grazie anche al casting: il premio all’Emmy
Cinema
L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha annunciato con orgoglio l’istituzione di un Oscar Academy Award per il miglior casting che prenderà il via dalla 98ª edizione degli Academy Awards per i film usciti nel 2025. Prima degli Oscar, gli Emmy Awards, gli Oscar delle Serie Tv, hanno visto una storica vittoria: quella dei casting italiani Francesco Vedovati e Barbara Giordani per THE WHITE LOTUS, che si aggiudicano l’Emmy per l’Outstanding Casting For A Drama Series 2023. Una notizia che rende felice e orgogliosa anche l’Unione Italiana Casting Directors in vista del David di Donatello al miglior casting che arriverà nel 2025.
Inizialmente The White Lotus era stata pensata come una miniserie in sei episodi. Dopo il successo della prima stagione, la seconda ha avuto come location l’Italia, la Sicilia, Taormina. E qui entrano in campo Francesco Vedovati e Barbara Giordani. Sono loro ad aggiungere al cast Simona Tabasco, Beatrice Grannò e Sabrina Impacciatore, che ha conquistato il pubblico internazionale, soprattutto quello americano, col personaggio di Valentina, dispotica e fragile manager dell’hotel.
Ma chi è un casting director? E perché è una categoria che, ancorché poco conosciuta, viene premiata con il più importante premio televisivo negli USA? Ne parliamo con i vincitori della 75ma edizione degli Emmy Awards: Barbara Giordani e Francesco Vedovati.
F.V. (Francesco Vedovati) «Il casting director viene chiamato da un produttore o da un regista di una sceneggiatura, fa una lista di nomi per un cast che parte da zero o che ha già il nome di un attore o un’attrice importante. Fa delle proposte in base al tipo di sceneggiatura, al budget che ha, al regista. Perché un conto è Bellocchio, altro un regista meno famoso. Il nostro know-how ci consente di capire chi proporre al regista con cui si lavora in base al budget e alla sceneggiatura. Lavoriamo con il regista e con gli agenti, facciamo dei provini e poi una callback con il regista.
Seguiamo tutta la fase che porta alla scelta degli artisti. Come uno scenografo o un costumista che fanno proposte al regista. Però nessuno si chiede perché loro vengono premiati ai Davide di Donatello o agli Oscar. Perché noi che facciamo un lavoro con la materia umana e che diamo un grande apporto artistico, dovremmo avere un trattamento diverso?».
B.G. (Barbara Giordani) «Il nostro lavoro è andare a teatro o alla ricerca di nuovi talenti. Tra poco andremo al saggio del Centro Sperimentale, ad esempio. Seguiamo gli attori già nella fase di formazione. Il nostro know è specifico, altrimenti i film si farebbero sempre con gli stessi nomi che cambiano rispetto al periodo. C’è necessità di sempre più attori e noi siamo quelli che, a volte, riescono ad aiutare le persone di talento ad emergere».
Come avete iniziato questa carriera?
B.G. «A questo lavoro si arriva da strade diverse: c’è chi arriva dal set, dall’aiuto regia, dalla carriera attoriale. In genere da un percorso artistico. Io sono un’archeologa con la passione per cinema e televisione. In fondo c’è un link: prima scavavo reperti, oggi cerco attori. Quando abbiamo iniziato noi era un mestiere ancora più sconosciuto rispetto ad oggi».
F.V. «Oggi un giovane che vuole fare casting ha più possibilità di quelle che abbiamo avuto noi. Esistono molti più casting director possono iniziare come assistenti casting».
Sabrina Impacciatore era tra le nomination agli Emmy Awards 2024 come miglior attrice non protagonista. Nel cast insieme a Simona Tabasco e Beatrice Grannò, The White Lotus le ha aperto le porte di Hollywood. Grazie a voi Sabrina ha potuto dimostrare la sua bravura pur essendo diversa dai canoni statunitensi. Come è stata la scelta?
F.V. «Noi l’abbiamo proposta, le abbiamo chiesto di fare una self tape perché non poteva venire a Roma per motivi di lavoro, ha mandato un provino fatto da sola con la scena indicata, l’abbiamo fatto vedere al regista e lui l’ha trovata interessante. A quel punto, insieme ad altre artiste, ha fatto un provino in presenza col regista Mike White ed è stata scelta democraticamente. Facendo un provino come tante altre. La seconda stagione di The White Lotus è ambientata in Italia, Simona e Sabrina sono due donne mediterranee. Sabrina ha un’italianità che piace agli americani. È un’attrice che dà personalità ai ruoli che interpreta e questo, secondo noi, ha colpito il regista e HBO, che l’hanno voluta anche per la comicità che dava al personaggio. Quello è stato il segreto del suo successo. Molte delle cose che si vedono nella serie sono state inventate da Sabrina».
Quindi i criticatissimi self tape funzionano…
B.G «All’estero sono utilizzatissimi: è un normale mezzo per proporsi al casting. In Italia, durante la pandemia, il self tape è diventato l’unico mezzo per portare avanti il nostro lavoro. Adesso facciamo sia self tape che provini in presenza. Sono utili per la prima scrematura. È un mezzo che ci dà la possibilità di vedere molti più candidati per ogni ruolo. I provini in presenza richiedono più tempo».
C’è chi si lamenta del poco tempo che si ha durante un provino…
F.V. «Ogni persona con cui lavori è diverso. Ogni film ha ruoli diversi. Ci sono registi che tengono gli attori due ore, registi che fanno dieci call-back prima di decidere. Registi che vedono un attore, gli fanno fare una scena e già capiscono se è adatto a quel ruolo. Non esistono degli standard. Noi casting tendiamo a lavorare un po’ di più con gli attori, soprattutto se pensiamo che possa essere una scelta giusta. Se hanno un blocco, cerchiamo di aiutarli. Però tenere un attore 5 minuti non vuol dire che il casting è fatto in modo superficiale. Vuol dire che quel casting o regista ha un processo elaborativo più veloce di un’altra persona».
E la storia che, a parità di provino, vince chi ha più follower?
F.V. «Per noi sono le leggende metropolitane. A noi nessun regista ha mai chiesto di guardare i follower. Magari riguarda progetti meno interessanti. Non credo che Garrone o Sorrentino prenderanno qualcuno che ha tanti follower. A noi non è mai capitato, ma possiamo parlare solo per noi. Credo che attaccarsi a questa giustificazione perché non si è stati chiamati o è stato preso un altro che ha tanti follower, vuol dire guardare il proprio ombelico e non alzare la testa».
Pierfrancesco Favino ha criticato la scelta di far recitare Adam Driver nei panni di Enzo Ferrari e di Maurizio Gucci. Quali sono i limiti degli attori italiani nelle produzioni internazionali?
B.G. «Rispetto a prima ci sono molti più progetti che vedono attori e attrici italiani con ruoli più significativi, mentre prima le produzioni internazionali lasciavano agli attori italiani ruoli più marginali. Adesso, come nel caso di The White Lotus, ci sono progetti che danno la possibilità ad attrici e attori italiani di emergere a livello internazionale con delle belle parti».
Allora qual è il limite degli attori italiani tenendo presente che ora, anche grazie al tax credit, molte produzioni internazionali vengono girate in Italia?
F.V. «Capisco il discorso di Pierfrancesco e in parte lo condivido. Il nostro problema, spesso, è che manca uno star system italiano che sia riconosciuto a Hollywood. Penelope Cruz e il marito Javier Bardem, ad esempio, sono delle star riconosciute mondialmente su cui tu puoi costruire un film americano ad alto budget. Purtroppo con gli attori, bravissimi, che da noi sono star e che meriterebbero molto di più, non è giustificabile il budget di un film che costa 100 milioni di dollari. Non li investono su un attore che non è conosciuto a livello mondiale. Non è colpa di nessuno, ma capisco se Sony non mette 100 milioni di dollari in un film che ha Pierfrancesco Favino come protagonista e lo faccia fare ad Adam Driver.
In Italia c’è un piccolo star system. Il nostro problema è che siamo incastrati su pochi nomi per cui, se non hai quei pochi nomi, è difficile montare un film. In altri paesi come l’Inghilterra, gli Stati Uniti, anche la Francia, c’è un bacino di star più ricco e hai meno difficoltà. Da noi c’è il periodo di Accorsi, poi quello di Favino: passa uno e arriva un altro. Questo semmai è l’impedimento per chi fa il nostro lavoro. Però non è colpa di Favino: è il sistema».