Anarchico e anomalo. Il corto Fiori Fiori Fiori (12’) di Luca Guadagnino, oggi proiettato fuori concorso alla 77 Mostra del cinema di Venezia, è una insolita vertigine sinestetica, l’immagine-movimento deleuziana che ci restituisce allo spaesamento dell’epoca viratica.
Opera fulminea ma intensa, ha lo stesso spleen di un battito d’ali e, attraverso la fugacità del road-movie, induce il regista, il 4 Maggio di quest’anno, a partire dalla ferita Milano insieme al fotografo Alessio Bolzoni ed approdare alla natia Sicilia, per comporre (grazie all’Iphone e a un Ipad), questo essay filmico e psichico sul vissuto ai tempi del lockdown, più o meno.
Carpire le sens du monde forse, decriptarlo forse, sicuramente agendolo durante la criticità, piuttosto che formalizzarlo in temps sospendu, poiché la funzione intellettuale di gramsciana memoria è di innescarsi in prima persona nello spazio critico e addensarsi ad esso senza indugiare.
Ed è il senso di Fiori Fiori Fiori, che attraversa tempo e spazio critico e fonde corpo/linguaggio/natura in una alchimia visiva che ruba l’estenuazione al cinema sperimentale e si avventura nel documentario, in cui Guadagnino in prima persona, conduce una conversazione in Sicilia itinerante, con degli amici di infanzia. È una sorta di frammenti di un discorso amoroso, che privo dell’insopportabile retorica del periodo, si dispiega con una verve resiliente. Il corto si addentra tra racconti, considerazioni, outing, riporti individuali e fiorifiorifiori, sintetizzando lo smarrimento che la quarantena ha innescato nell’individuo planetario. Dunque è un corto bizzarro e mediale sulla soggettività incarnata al mondo, scossa e spaesata dalla pandemia.
E’ il cinema obliquo che Guadagnino, regista folgorante e anticonvenzionale come nessuno mai, riesce a coniugare inseguendo la sua spregiudicata natura d’auteur. Dimensione trasgressiva e viscerale che gli consente di de/costruire il cinema per come il cinema è stato costruito fin qui. Dunque Fiori Fiori Fiori è un cut-up gestuale, un flash de-narrativo che incarna la sua soggettività fiammeggiante alla fruizione collettiva, depistando continuamente forma e contenuto e deviando da aspettative e generi.
Le prime immagini ci sbarcano sul porto di Messina e ci conducono nella area etnea, dove un sornione e pungente Guadagnino, ritrova e stimola le amiche Maria e Natalia, ad auto-raccontarsi tra paure e distanziamenti, nelle loro solitudini, nelle proiezioni ed escamotages catartici da quarantena.
E poi Fiori, Fiori, Fiori che inondano i cigli delle strade, i campi, i viottoli, i sentieri e i cespugli che tracciano l’itinerario siciliano guadagniniano. Ed è in questa primavera inebriante e vezzosa che la natura, libera e incondizionata, si innesta ad un corpo quasi internato e assoggettato al contagio del virus.
Papaveri, fiori di campo, cardi, spighe, arnie, calendule e agli da fiore assediano lo schermo, quasi un omaggio jarmaniano, che si diluiscono nelle carrellate balenanti. Fiori Fiori Fiori che vengono liquefatti e giustapposti, come dipinti impressionisti e puntinisti, per divenire altro: frames filamentosi, coriandoli, congegni snervanti e volatili che assaltano l’immaginazione, quella si totalmente libera!
Il rebours in Sicilia è quasi una operazione di regressione per il regista, un ritorno all’infanzia che viene suggellato a Canicattì, dalla tenera visitazione della casa natale del papà di Luca. Irrefrenabile pulsione tra l’io e l’inconscio siciliano.
E ancora Fiori Fiori Fiori veicolano nel vertiginoso montaggio di Walter Fasano.
Poi finalement Palermo! Qui, c’è l’amico e attore Claudio Gioè ad aspettare il nostro, al Teatro Politeama. Riflessione inevitabile intorno all’effetto-Covid sul mondo dello spettacolo, sulla precarietà dei suoi lavoratori, sul futuro del teatro e chissà…
Ma è già il 10 Maggio e l’ellisse si riavvolge. Back to home. Non prima di collegarsi by tablet con David Allen Kajganich (sceneggiatore di A Bigger Splash e Suspiria) che in una intensa analisi soggiunge tra l’altro: C’è qualcosa di confortante e di funesto. A secondo di quanto siamo a nostro agio al mondo consideriamo questo evento una minaccia alla percezione di noi stessi, oppure ci sentiamo in armonia con tutto questo.
Sempre fuori concorso, il regista, ha presentato, Salvatore – Shoemaker of Dreams, 2020, fascinoso documentario sulla figura di Salvatore Ferragamo, un biopic che insegue le ascese e le cadute, il pubblico e il privato dell’icona della moda internazionale.
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