E così, ogni volta che ti incontro, mi si apre una finestra nella testa.
E ogni volta esco furtivo come Diabolik.
E ogni volta m’impiglio ne cardine, strappando lembi di vestiario.
E ogni volta, improvvisamente, si alza -soffiando- Zefiro. E le ante sbattono, ed i vetri si rompono e mi feriscono le mani, e mi tagliano quanto più possono, e ancora mi tagliano, mi scalfìggono e mi fanno male.
E ogni volta, testardo, esco.
E mi tratto male.
E mi faccio male.
E mi vado a cercare il male.
Ed è pesante il disonore che sento per l’indomita e indomabile smania di ricerca, per la perseveranza ignobile, per la leggerezza dell’acquisto, che quasi mi accartòccio.
E perchè è sempre lei ad aprire la finestra sulle scure notti dell’anima.
E perchè lei mi figura un viadòtto a metà, perchè è come percorrere un’autostrada da casello a casello, ignorandone la destinazione finale (finale?).
E perchè riesce sempre a farmi ricordare che due opposti, sospinti da una forza variabile, nel momento zero hanno una ugiale probabilità di attrarsi o respingersi.
Grande, ulteriore, difficoltà quando due opposti vengono a trovarsi nella stessa testa.
Well, I’ve been playing in Night Clubs.
Staying out all night long.
Come home late.
Gone for three months, come back and everything in my refrigerator turned into a science project.
E procedendo con passi pesati, nel buio,
egli avanzava
– sicuro come un paracadutista –
tra le vie
nelle nebbie
ed attraverso porticati di mattoni pieni.
ALLE PRESE CON LA LAVASTOVIGLIE.
(Trovandosi, Ella, in un momento di crisi esistenziale dettata dalla dissidenza.
Forse eccessiva la lettura di “Senza contraddizione non c’è vita” di Mao Tze Tung…..)
I just have to admit that I love the bartender’s red ribbon between her hair.
Ogni informazione che ho su me stesso proviene da incartamenti falsificati.
Goodbye, my sweetheart! Hello, Vietnam!
Alle prese con una Verde Milonga, il musicista si diverte e si estènua.
Il vostro pensiero sognante,
sul cervello rammollito,
come un lacchè rimpinguato
su un unto sofà,
vi stuzzicherò contro
l’insanguinato brandello del cuore,
mordace,
impudente,
schernirò
a sazietà.
No v’è nel mio animo
un solo capello canuto e nemmeno senile tenerezza.
Intronando l’Universo, con la possenza della mia voce,
cammino
bello, ventiduenne.
Teneri, voi, coricate l’amore sui violini
io, rozzo,
sui timballi corico l’amore.
Ma come me non potrete slogarvi
per essere labbra soltanto, da capo a piedi.
Venite!
A istruirvi dal salotto vestita di battista
decente funzionario dell’angelica lega,
voi che sfogliate le labbra
come una cuoca le pagine del libro di cucina.
Se volete sarò, rabbioso
una furia di carne
e
mutando il tono
se volete sarò tenero in modo inappuntabile
non un uomo ma nuvola,
in calzoni.
Volete stuzzicarmi?
meno delle copeche d’un pitocco
sono gli smeraldi delle vostre follie.
Ricordate?
Perì Pompei!
Quando esasperarono il Vesuvio!
Ehi!?
Signori?!
Dilettanti di sacrilegi, di delitti, di massacri!
Avte visto mai ciò che è più terribile?
Il viso mio,
quando io sono assolutamente tranquillo?
Sento che l’io, per me è poco….
Qualcuno da me si sprigiona,ostinato.
Allò?
Chi parla?
Mamma!
Mamma, vostro figlio è magnificamente malato, mamma!
Ha l’incendio nel cuore,
dite!
Alle sorelle Liuda, Olia,
ch’egli non sa più dove salvarsi.
Ogni parola, persino ogni burla ch’egli vomita
dalla bocca scottante,
si butta come nuda prostituta
da una casa pubblica che arde!!!
Gli uomini!
Annusano, odor di bruciato.
Raccozzano
dei tipi strani, rutilanti con gli elmi!
A che scopo quegli stivaloni??
Dite ai pompieri:
“Sul cuore ardente, ci si arrampica con le carezze!”
Farò, da me!!
Rotolerò come botti gli occhi gonfi di lacrime,
lasciatemi appoggiare alle mie costole,
e salterò, salterò, salterò, salterò!
Sono crollati!
Non puoi saltare dal proprio cuore.
Glorificatemi!
Non sono pari ai grandi?
Su tutto ciò che fu creato pongo il mio “nihil”.
Non voglio mai leggere nulla.
Libri?
Ma che libri?
Una volta pensavo che i libri si facessero così:
arriva un poeta,
lievemente disserra la bocca e di colpo comincia a cantare in sempliciotto
ispirato, di grazia.
E invece risulta che i poeti
prima di
effondersi nel canto
camminano,
incalliti dal lungo girellare.
E dolcemente diguazza nella melma del cuore
la stupida tinca dell’immaginazione.
Mentre fanno bollire,
srimpellando rime,
una brodaccia d’amori e usignuoli
la via si contorce priva di lingua.
Non ha con che discorrere, gridare….
e dietro ai poeti, le turbe di strada.
Studenti!
Prostitute!
Appaltatori!
Signori fermatevi!
Voi non siete accatttoni!
Voi non osate cheder l’elemosina!
Noi!
Gagliardi!
Dal passo poderoso!
Non abbiamo bisogno di ascoltare, ma piuttosto di svellere costoro!
Che si sono appiccati come un’aggiunta gratuita, a ogni letto a due piazze.
Si dovrebbero forse umilmente implorare, prestateci aiuto?
Supplicarli ad un inno?
Ad un oratorio?
Noi stessi siamo artefici
dell’ardente inno-frastuono
della fabbrica e del laboratorio.
Che m’importa di Faust?
Che in una ridda di razzi scivola con Mefistofele sul pavimento del cielo!
Io so che un chiodo nel mio stivale è più raccapricciante dela fantasia di Goethe.
Io sono sempre là dove si soffre.
Su ogni goccia di fluido lacrimale,
ho posto in croce me stesso.
Ormai non si può perdonare più nulla!
Io ho incendiato le anime,
dove si coltivava la tenerezza.
Questo è più difficile che prendere
migliaia di migliaia
di Bastiglie!
E allorchè proclamando con una sommossa il suo avvento,
uscirete incontro al Salvatore,
io vi strapperò l’anima!
E dopo averla calpestata, perchè sia grande,
io ve la darò insanguinata
come un vessillo!
E,
come nel naufragio
di una dreadnought,
per gli spasmi soffocanti,
si rilanciano
nel boccaporto spalancato,
così
attraverso il suo occhio
lacerato sino all’urlo,
s’inerpicava, impazzito, Burliuk.
Quasi insanguinando le palpebre,
corrose dalle lacrime
ne strisciò fuori,
si mise in piedi,
si mosse,
e con tenerezza inattesa in un uomo pingue
mi prese e disse “Bene!!! Bene!!!!
Quando una gialla blusa protegge l’anima da tanti sguardi!
Bene! Quando scagliati tra i denti del patibolo si grida “bevete cacao van Houten!”
E quest’attimo bengalico, squillante,
non cambierei con nulla.
Nemmeno con….
Ma dal fumo d’un sigaro,
come un bicchierino di liquore
s’è allungato il viso alticcio di Severianin.
Lillà, lillà, gelato di Lillà.
Lillà vuol dire….voluttà!
Come osate chiamarvi poeta?
E’ mediocre squittire come una quaglia!
Oggi bisogna, a mo’ di frangicapo,
conficcarsi,
nel cranio del Mondo.
Voi turbati dal solo pensiero di ballare con eleganza
osservate in qual guisa me la spasso
io
truffatore di carte, ruffiano di piazza.
Da voi che siete fradici d’amore,
da voi che nei secoli grondaste lacrime,
io mi staccherò
incastrando il Sole come un monòcolo
nel mio occhio divaricato.
Cammuffatomi in modo incredibile,
me ne andrò per la Terra a destar godimento e a infiammarmi
e dinnanzi a me condurrò alla catena Napoleone come un botolo.
La terra tutta sdraiandosi come una donna dimenerà le sue carni,
vogliosa di darsi,
e le cose si animeranno
e le labbra delle cose biascicheranno.
Chi?
Perchè garriscano bandiere!
Nella febbre delle scariche!
Come in ogni festa ragguardevole,
levate in cima ai pali dei lampioni
le insanguinate carcasse
dei mercanti!
E bestemmiava, implorava e trinciava
e s’arrampicava dietro qualcuno
per addentarne i fianchi.
Sula volta celeste,
rosso come la marsigliese,
sussultava crepando il tramonto.
Ormai, la follia.
Non ci sarà più nulla.
La notte verrà a rodere a mangiare,
vedete?
come un Giuda vende di nuovo il cielo,
per una manata di stelle spruzzate di tradimento?
E’ venuto a banchetto alla maniera di Mamai,
con il culone sulla città.
Non riusciremo a sbrecciare con gli occhi
questa notte nera,
come Azèf.
Maria!
Maria!
Maria!
Lasciami entrare, Maria,
non posso restare in strada, non vuoi?
Tu aspetti
che con le guance incavate,
assaggiato da tutti,
insipido,
io venga a biascicar senza denti
“sono oggi maledettamente onesto!”
Maria vedi?
Ho già cominciato
ad incurvarmmi.
Nelle vie gli uomini bucheranno il grasso nei loro gozzi a
quattro piani!
Sporgeranno gli occhietti lisi da quarant’anni di logorìo,
per ammiccare l’un l’altro ghignando,
che tra i miei denti di nuovo,
è il panino raffermo della carezza di ieri.
Zuppo ladruncolo
stretto tra le pozzanghere,
la pioggia, attraverso i marciapiedi,
lecca il cadavere delle vie,
tartassate dai ciottoli.
E sulle ciglia canute, sì!
Sulle ciglia dei ghiaccoli,
gocciano lacrime
dagli occhi,
sì!
dagli occhi abbassati delle grondaie!
Succhiò tutti i pedoni il muso della pioggia,
mentre nelle vetture luccicava una fila di pingui atleti.
Scoppiavano, certuni rimpinzati a crepapelle,
e attraverso gli spacchi spillava la sugna
come un torbido fiume,
mentre dalle vetture colava
come un pane maciullato,
la masticatura di vecchie cotolette.
Maria!
Come ficcare una dolce parola nel loro orecchio coperto di grasso?
L’uccello va mendicando con una canzone,
canta affamato, squillante,
ma io sono un uomo
Maria!
Semplice,
scatarrato!
Dalla notte tisica,
nella sudicia mano della Prevsnia!
Maria!
Vuoi un uomo simile?
Lasciami entrare, Maria?
Sul collo!
Come una scalfittura,
le dita della calca,
apri!
Fanno male!
Vedi?
Son confitti nei miei occhi gli spilli dei cappelli femminili!
Mi ha lasciato entrare…..
Bambina!
Non ti spaurire se sul mio collo taurino
seggono come un umida montagna donne dal ventre sudato!
Gli è che, attraverso la vita,
io trascino milioni di enormi casti amori,
e milioni di milioni di minuscoli
sudici,
amorucci.
Non ti spaurire se ancora una volta, nell’intemperie del tradimento,
mi stringerò a migliaia di vezzose faccine, adoratrici di Majakovskij.
Ma questa è davvero una dinastia di regine,
salite al cuore d’un pazzo!
Maria, più vicino!
Con denudata impudenza
oppure
con un pavido tremore
concedimi la florida vaghezza delle tue labbra!
Io e il mio cuore
non siamo mai vissuti,
sino a Maggio….
e nella mia vita passata,
c’è solo il centesimo Aprile!
Maria!
Il poeta canta sonetti a Tiana.
Mentre io, tutto di carne, uomo tutto chiedo
semplicemente il tuo corpo,
come i cristiani chiedono
dacci oggi il nostro pane quotidiano!
Maria, concediti Maria!
Il tuo corpo io saprò custodire, amare,
come un soldato stroncato dalla guerra,
inutile,
ormai di nessuno,
custodisce la sua unica gamba.
Maria!
Non vuoi?
Non vuoi?!
E allora, di nuovo,
aflitto e cupo
io prenderò il mio cuore e
irrorandolo di lacrime,
lo porterò come un cane porta
nella sua cuccia
la zampa stritolata dal treno.
Con il sangue del mio cuore
allieterò
la strada.
Fiori
di sangue
s’incolleranno alla polvere della mia giubba!
Mille volte
danzerà come Erodiade il Sole attorno
alla Terra-cranio del Battista.
E quando avrà finito di danzare
il mio numero di anni,
d’un milione di gocce di sangue
si coprirà la traccia che mena
alla casa di mio padre.
Uscirò fuori sudicio,
per le notti trascorse nei fossati,
mi metterò al suo fianco,
mi chinerò,
per dirgli in un orecchio:
“Ascoltate! Signor Dio! Non vi da noia inzuppare ogni giorno, nella composta di nuvole gli occhi ingrassati?
Suvvìa! Facciamo insieme un carosello!”
Sull’albero della conoscenza,
del bene e del male,
onnipresente tu sarai
e in ogni armadio, a tavola,
porremo
vini!
E tale
che anche all’accigliato Pietro apostolo
verrà voglia di ballare
un kìkà-pum
in paradiso, di nuovo,
ospiteremo le Evucce.
Questa notte stessa,
basta che tu dia un ordine,
ti porterò in gran fretta,
da tutti i viali
le ragazze più belle,
vuoi?
Non vuoi?
Scrolli la testa capelluta,
aggrondi le ciglia canute
e tu pensi che quello con le ali,
che ti sta dietro,
sappia cosa sia l’amore?
Anche io sono un angelo,
io lo ero.
Guardavo negli occhi
come un agnello di zucchero.
Ma non voglio più offrire alle giumente vasi plasmati
nella farina di Sevres.
Onnipossente!
Che hai inventato un paio di braccia,
e hai fatto sì che ciascuno avesse
la sua testa!
Perchè, non hai inventato una maniera di baciare, baciare e ribaciare, senza tormenti?
Pensavo tu fossi un gran Dio onnipotente,
e invece sei un insipiente, un minuscolo deuccio.
Vedi?
Io mi curvo.
E dietro il gambale, traggo il trincetto.
Alti furfanti!
Rannicchiatevi in paradiso!
Rabbuffate
le vostre piumette!
In uno sbigottìto brividìo
te,
impregnato d’incenso,
io squarcerò da qui
sino all’Alaska!!!!!!!!
Lasciatemi!
Non mi fermerete!
Sia che mentisca o mi trovi nel giusto non potrei essere più calmo, guardate!
Hanno di nuovo decapitato le stelle,
insanguinando il cielo come un mattatoio!
Ehi!
Voi, cielo!
Toglietevi il cappello!
Me ne vado….
PERCHE’ MAI, INFINE, PROVARE VERGOGNA PER I PROPRI ORMONI ?
E’ incredibile, certe sere, il numero di cazzate che riesco a dire in una sola frase.
Però, quantomeno, di senso compiuto.
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