30 luglio 2012

C’era una volta una Cannoniera

 
Questa volta il racconto è doppio: di Anna Franceschini e Steve Piccolo. La mostra che hanno fatto insieme, e che si è inaugurata il 29 luglio, è il secondo appuntamento di "Contemporary Locus", progetto che prevede tre tappe espositive in tre luoghi diversi e invisibili di Bergamo (a cura di Paola Tognon con la collaborazione di Paola Vischetti). Dopo Francesco Carone nella dimora medioevale Pio Colleoni, ora tocca a loro inventare qualcosa alla Cannoniera di San Giacomo, struttura militare della seconda metà del Cinquecento. In questa specie di diario ci svelano come hanno ideato l'intervento

di

Lo spazio

Steve Piccolo: «Ho capito subito che quello spazio aveva un carattere molto forte. Sarebbe stato probabilmente futile cercare di contrastarlo o modificarlo. Chi interviene può soltanto assecondare. Anche il percorso, a tre tappe, in salita e quindi per tornare in discesa, era obbligatorio data la conformazione del luogo. Ma lo spazio per intervenire c’era, eccome. Come molte rovine, la Cannoniera parla di cose mancanti, di spazi ormai considerati inutili, sistemati alla bell’e meglio e abbandonati al loro destino. Semmai, le uniche tracce rimaste di qualche attività umana al suo interno, sono quasi delle secrezioni posticce, i graffiti lasciati sulle mura, probabilmente da ragazzi che avevano trovato un modo per entrare e per usare lo spazio come una specie di tana. Trascurando la storia ufficiale del luogo, ho cominciato a immaginare le azioni dei suoi inquilini provvisori. Il che mi ha portato a pensare a tutti gli spazi residui, gli interstizi non presidiati né sorvegliati che si possono trovare in zone di assediamento umano».

Anna Franceschini: «Anche per me lo spazio aveva un carattere forte, ma con la dolcezza si ottiene tutto, mi son detta!

Il primo impulso è stato quello di abbattere delle pareti, di sfondare o di rendere trasparente, di liberare ciò che era rimasto sepolto, ma vivo.

La storia del luogo un po’ mi è rimasta dentro, ma nella forma del remake. Sapere che qualcosa di prezioso o meglio, di considerato importante, vi era stato custodito, mi ha portato a pensare a un tesoro di ori e di argenti, a una giara piena di monete d’oro custodita dalle fate. Fate non necessariamente gentilissime, pronte a diventar spiriti disturbatori, in caso di intrusione. Fate comunque capaci di sedurre e attrarre per poi prendersi gioco dell’intruso».

Steve Piccolo: «Ho l’impressione che questi spazi siano sempre meno numerosi. I possibili nascondigli, lontani dalla sorveglianza della società, sono progressivamente eliminati in nome della sicurezza, la pulizia, l’ordine. Eppure potrebbero avere un ruolo fondamentale che è difficilmente sostituibile con le strutture inventate da urbanisti e assessori.

Proprio nei giorni dopo il nostro primo sopralluogo alla Cannoniera, Temporary Black Space a Bergamo organizzava un evento chiamato “Human Bike”. Mi hanno contattato per un intervento. Si trattava di sette percorsi in bicicletta che prevedevano contributi artistici di vario genere. Pensavo a come durante una gita in bici sia facile a volte capitare in luoghi misteriosi o abbandonati e vedere articoli, indumenti o oggetti lasciati lungo la strada senza ragione apparente. Ho cominciato a scrivere piccoli racconti di luoghi di questo tipo, con l’idea di stimolare l’osservazione dei ciclisti.

Si apriva un vero e proprio vaso di Pandora nel mio cervello: tane costruite, società segrete, rivalità tra bande. Ricordi d’infanzia che poi ho scoperto essere condivisi da molte persone. Tornato alla Cannoniera, ho cercato di auscultare lo spazio tirando sassi per registrare il rimbombo, provocando piccoli tuoni che potevano forse contenere voci o suggerimenti».

Anna Franceschini: «Quando ho cominciato a conoscere le intenzioni di Steve, ho cercato di modellare le mie proiezioni anche in funzione della sua narrazione. Il mio lavoro è duttile, è fatto di nulla, di luce proiettata. Questo mi permette di insinuarmi nelle pieghe lasciate libere da oggetti e frammenti e storie. Ho pensato che, da ragazzi, si fanno molte cose senza coscienza di quel che effettivamente si sta compiendo, ma l’energia è molto alta, e questo ha un peso. Ho pensato ai miei amici che facevano le sedute spiritiche per gioco, e poi, alla fine, qualcosa di strano succedeva sempre. Mi sono ricordata di una mia amica che mi diceva di non raccogliere nulla che appartenesse a un luogo, altrimenti un giorno il luogo avrebbe fatto in modo di riprenderselo. Allora ho pensato che le visioni che avrei proiettato sarebbero diventate una specie di surplus energetico, di residuo inconsapevole dei rituali di questi ragazzi. Un lascito, un’apertura, un effetto non calcolato di quando si interviene nel mondo. Né buono né cattivo, energia libera e liberata, ma presente».

La storia

Steve Piccolo: «Dalle altre storie e dalle ore passate dentro allo spazio cavernoso ha cominciato a prendere forma una storia più grande, più articolata. All’inizio credevo che mi servisse soltanto come copione per l’intervento, regola o logica soltanto mia per organizzare un’esperienza, un percorso. Per riempire lo spazio di quel che mancava, che sembrava essere stato tolto. Scrivo quasi sempre un racconto prima di costruire un’opera, ma al solito rimane sottotraccia, nascosto, accennato. In questo caso però il racconto mi piaceva troppo. E ho deciso di pubblicarlo come parte della mostra.

Tuttavia, non voglio svelare il suo contenuto qui. Forse in un secondo tempo, per ora bisogna visitare la Cannoniera per leggere il racconto dal titolo Michael’s Fire.

Posso dire soltanto che quando avevo, non so, 8, 9, forse 10 anni, un mio cugino mi ha portato dentro una tana di ragazzi, forse una tana di un gruppo a lui nemico. Il cugino voleva che io lo aiutassi a distruggerla, bruciandola. Sono sempre stato tormentato dai ricordi di questo episodio. Ho fatto il bravo ragazzo, ma…».

Anna Franceschini: «Per anni alcuni ricordi si dibattono nella mente come avanzo di una situazione ancora non risolta. Bisogna sempre chiudere i cicli, altrimenti rimane una piccola ferita energetica che non si rimargina mai. È come una silenziosa emorragia, goccia a goccia. Alla fine si è molto stanchi, ma non si sa perché. Riportare alla luce un ricordo lontano mi fa venire in mente l’immagine di un gran polverone che si alza. Come quando si cerca qualcosa in una soffitta. L’inizio del ricordo mi pare sia gran confusione, ci vuol tempo, perché la polvere si posi e si veda chiaramente qualcosa».

La miccia

Steve Piccolo: «Ormai ci voleva quasi una seduta spiritica per mettermi in contatto con quel cugino scomparso e scoprire la verità di quell’episodio. Mi veniva in mente l’immagine che si vede in tanti film, quella della miccia che brucia quando Clint Eastwood fa saltare un ponte della ferrovia, o quando i ladri vogliano far esplodere un caveau. Ho chiesto alle curatrici di procurarmi 100 metri di miccia pirotecnica a combustione lenta. Devo dire che lavorare con loro è una cosa meravigliosa: non mi hanno neanche chiesto perché volevo quella roba, l’hanno trovata (davvero non facile) e anche subito comprata.

Così un bel giorno abbiamo sbobinato ben nove metri di miccia. Per fortuna era solo una piccola prova. La miccia, avvolta intorno a una bobina, non voleva più raddrizzarsi. Per farla correre in linea retta lungo il pavimento l’abbiamo puntellata con cocci e pezzi di ceramica. Bruciando, la fiamma sarebbe passata sotto questi oggetti per arrivare finalmente alla fine del suo percorso. Pronto con macchina fotografica e registratore audio, ho acceso la miccia. Per qualche miracolo, sicuramente spiegabile dalla fisica ma per noi del tutto inaspettato, verso la fine del percorso la miccia infuocata si è messa a volare come impazzita nello spazio che nel frattempo era completamente oscurato da un fumo opaco e soffocante. Un effetto speciale spaventoso, forse dovuto all’accumulo di energia cinetica dentro la miccia? Non saprei. So solo che quella cosa fiammeggiante stava volando all’impazzata in giro per lo spazio della Cannoniera satura di fumo. Sono riuscito a registrare il suono e a catturare l’immagine.

Quando sono tornato a casa era tutto chiaro. Riuscivo addirittura a ricordarmi bene la faccia di mio cugino. Il racconto si è finito da solo e i suoni dell’installazione erano chiaramente organizzati nella mia testa».

Anna Franceschini: «La mente, nella sua forma memoriale, nella fattispecie, è uno strumento molto potente.

A volte si ricreano delle situazioni, si rievocano dei fantasmi dell’infanzia e si cerca quel ricordo. Non si vuole andare oltre, ma si cerca, si cerca, fino a quando si trova. Si trova, certo, quello che si vuole, ma come Astolfo sulla Luna, in cerca del senno di Orlando pazzo d’amore, si trova anche molto altro.

Il mondo della mente, dei fantasmi generati dalla mente, può avere diverse nature, anche fisiche.

Ne può avere una vischiosa e colloidale, difficile da percorre, pesante e molle. Può essere infuocata o gelida. Può aver la natura ologrammatica dell’illusione, può essere buia o assolata e riarsa.

Che aspetto ha ciò che non si vede? Ha l’immagine che noi gli attribuiamo».

Anna Franceschini, Steve Piccolo

contemporary locus 2

Cannoniera di San Giacomo, Bergamo

29.07.12 – 09.09.12

www.contemporarylocus.it

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