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“Io mi arrendo. E suggerisco anche a tutti voi di arrendervi.”.
Queste sono state le parole con cui ho iniziato il mio intervento sabato 29 settembre all’assemblea organizzata dall’Amaci al Maxxi, la “Chiamata per l’Arte”.
Dopo l’attivismo profuso negli ultimi due anni, la partecipazione alla fondazione di “Occupiamoci di Contemporaneo” e della Consulta di Roma, ho visto un certo smarrimento sul volto di alcuni amici seduti in piazza, che tradotto in parole significava: “Ma che dici? No, dai anche tu. E no, arrendersi proprio no!”.
Per onestà intellettuale devo dire che la “Chiamata”, più che un’assemblea del mondo dell’arte con gente più che giustamente incazzata, pronta non solo a dirla ma anche a farla tutta, è stata una tranquilla riunione di chi bene o male nel sistema istituzionale italiano dell’arte ci sta e in modo abbastanza comodo, e certo se avesse qualcosina di più starebbe meglio e per questo qualche ora e qualche chilometro si possono anche sprecare. Non vorrei fare il solito guastafeste, ma non ho potuto fare a meno di domandarmi: dov’è tutta la gente che ogni giorno pancia a terra cerca di fare al meglio il proprio lavoro? Parlo degli artisti prima di tutto, come dei curatori e dei critici indipendenti, dei galleristi, dei collezionisti, quelli veri e appassionati, insomma tutti quelli che potrebbero cambiare per davvero un sistema se lo volessero e si presentassero uniti. Nella piazza dedicata al nostro amato Alighiero, avrebbero dovuto esserci più di qualche migliaio di persone, almeno. Invece no. Tra un passaggio e l’altro, nell’arco delle sei ore, la piazza ne avrà ospitate solo un paio di centinaia.
Devo essere sincero, sono stato preso da un certo scoramento, da cui ancora oggi non riesco a riprendermi. Qualcuno, anzi più di qualcuno per la verità, mi aveva preannunciato la propria assenza e anche una certa ostilità verso un gruppo di potere, quello formato dai direttori dei musei e dei loro sodali, che a turno ruotano nel circuito manco fosse il gioco dei quattro cantoni. «Delle loro lamentele, che non possono coincidere evidentemente con le mie, non so proprio cosa farmene. Così come non mi interessano le loro proposte. È la stessa cosa che sta accadendo con la legge anticorruzione che deve essere votata da un parlamento in cui ci sono cento inquisiti e condannati proprio per corruzione. Perché il sistema dovrebbe cambiare grazie a chi lo ha reso così?».
Cari miei, comunque la mettiate è davvero difficile dargli totalmente torto. Anche se naturalmente le cose non sono mai così semplici. Comunque sia, a questo proposito voglio solo dire alcune cose e ribadire una proposta che ho fatto nel mio intervento, l’unica che mi pare oggi in grado di essere davvero risolutiva. La prima cosa da dire è che purtroppo movimenti come “OdC” (Occupiamoci di Contemporaneo) o come la Consulta non hanno portato a coinvolgimenti ampi e a cambiamenti significativi dello stato delle cose. Anzi, per la verità, non siamo riusciti nemmeno ad ottenere dei piccoli risultati, o un inizio di risultato. La situazione del Macro, ad esempio, quella da cui è iniziato tutto, è esattamente la stessa. Niente fondazione, niente autonomia finanziaria, niente autonomia dalla politica, niente trasparenza nelle nomine, nessuna buona pratica. Per alcuni aspetti la situazione è addirittura peggiorata. Le ragioni di questa debacle sono diverse. La prima è che non siamo riusciti a sentirci una comunità. Ci siamo frantumati sullo scoglio quotidiano delle piccole sacrosante necessità, delle diversità professionali, delle paure e ostilità conseguenti. Oltre ciò è evidente come sia mancata una metodologia nel trasformare il dialogo collettivo in progettualità e pratica conseguente. È una cosa molto grave, che da anche ragione del fatto che in Italia non si riesce praticamente mai a fare sistema. La mancata risposta alla “Chiamata” ne è solo l’ultima prova. Perché anche se si era contro il gruppo di potere, si doveva venire e dirlo, mettendo in moto una vera discussione.
Sono ormai convinto che la causa di questa nostra italiana incapacità di sentirsi parte di un meccanismo più ampio nel quale si può essere determinanti, non derivi da un retaggio storico, antico, ma da una condizione che si è affermata e consolidata nel corso degli ultimi trent’anni. Mi riferisco al dominio delle dinamiche parentali, relazionali e politiche attraverso i quali i vari sistemi si rigenerano, senza tenere in alcun conto trasparenza e meritocrazia. Dall’università, in su e in giù nei vari settori, la storia è sempre la stessa. Se il Paese è andato in malora, in buona parte è per questa ragione. E finché questa causa non verrà riconosciuta e rimossa, qualsiasi ripresa sarà impossibile.
È per questo che mi arrendo. Ma soprattutto è per questo che chiedo di fare l’unica cosa veramente risolutiva. E cioè pretendere che l’Europa imponga al nostro paese di adottare quelli che sono gli standard in uso nei Paesi di riferimento (Francia, Germania e Inghilterra) per ciò che concerne gli investimenti economici pubblici e le pratiche di gestione in tutti i settori della produzione culturale, comprese le norme legislative e fiscali. Solo così la differenza di spread tra i nostri sistemi culturali e quelli degli altri Paesi europei potrà essere riequilibrato.
Ora la mia proposta è questa. Mobilitiamoci per fare un referendum. Chiediamo a tutti i cittadini italiani se vogliono che tutto il settore della cultura in Italia sia regolato sugli standard europei. Quantità e tipo di investimenti, fiscalità, occupazione, selezione dei dirigenti, e via così. Non è un’idea così assurda. Gli svizzeri fanno un referendum per la promozione della formazione musicale. Perché non possiamo fare anche noi qualcosa di simile? Lo chiedo quindi all’AMACI. Sia lei come associazione a promuovere il referendum, a chiedere ad esperti costituzionalisti la formulazione del quesito e sia sempre lei a promuovere la raccolta di firme nei suoi musei. Un banchetto in cui dei volontari – artisti, scrittori, attori, musicisti, critici, curatori, registi e quant’altri – spieghino alle persone, al pubblico, la ragione del referendum e i vantaggi che saranno conseguenti per tutto il nostro amato e quasi perduto Paese.
Purtroppo questo articolo è proprio il motivo per il quale non veniamo presi sul serio da nessuno, tantomeno dalla politica. Forse il caro Gavarro, del quale conosciamo la buona fede e l’idealismo, non sa che in Italia i referendum possono essere solo abrogativi e non propositivi (come in svizzera). E non vedo come intervenire su tutte quelle leggi, in molti casi non scritte, che regolano il settore. Provaci ancora Raf!
Articolo 75 della Costituzione Italiana.
Com’è noto la possibilità di avere anche in Italia un referendum propositivo è una questione al centro di un ampio dibattito nel nostro paese. Ed è stata oggetto di riflessione anche in una famosa Commissione Bicamerale del 1997, che qualcosa in tal senso aveva proposto
http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/dossier/dspro097.html
Sulla poca omogeneità delle leggi che riguardano il settore non posso che concordare. Magari ne scegliamo una simbolica.
In ogni caso grazie per l’incoraggiamento.
Giustissima la proprosta del Sig. gavarro.
sono una storica del’arte che si è vista tolta i finaziamenti di un festival d’arte contemporanea ideato e diretto nelle marche solo ed eslusivamente per maneggi politici,clientelismo,ottuso maschilismo, pura e semlice invidia, eccc.
usando come schermo l’arcinota mancanza di fondi che invece, guarda caso, ci sarebbe stata..ma che è finita nelle mani della banda dei soliti quattro..
quindi ben venga a noi italiani,provinciali incapaci, che giochaimo oancora ai guelfi e ghibellini, che siamo incapaci di cogliere il senso della storia che stiamo vivendo.. che non sappiamo più fare delle vere rivoluzioni e che cerchiamo sempre di infossare la parte buona del paese, quel nervo sano che cerca in questi ultimi tempi, disperatamente di tenere duro…
ben venga questa prorposta per tutti gliitaliani che non hanno amato il loro paese, che non lo cooscono, che se fragano per ignoranza e avidità e ben venga per tutti gli altri, giovani e meno che posseggono quella creatività e quella audacia ammirata per anni da tutto il mondo..
se solo volessimo saremmo uno stato modello, se solo volessimo smettere di pensare al nostro orto ma all’intero giardino la nosta straordianria inventiva a volte unica al mondo potrebbe creare un futuro democratico e sano…stimolante, anche difficile,ma sano, vivo..
un caro saluto a Gavarro
Anna Baldi
Volevo dare ancora una piccola indicazione. Per una chiara valutazione delle differenze che ci sono tra i diversi sistemi culturali europei, è utile consultare l’edizione del 2011 del “Cultural Statistics” http://ec.europa.eu/culture/key-documents/doc975_en.htm.
Si tratta di una ricerca realizzata da Eurostat e pubblicata dall’Unione Europea, che fornisce indicazioni sui patrimoni culturali, sugli investimenti economici, sull’occupazione stabile e provvisoria, sui livelli di percezione culturale e altre cose di questo tipo. Naturalmente tutti conosciamo le nostre difficoltà, ma forse non tutti i dati ci sono realmente noti.
Provaci anche tu Lan.
Mi chiedo se non sia possibile avanzare richiesta al MIBAC perché venga istituita una commissione nazionale come è stato fatto con la Commissione Rodotà sui Beni Pubblici. anche se ci sarebbe la necessità di procedere più velocemente, per uscire dall’impasse culturale nel quale ci troviamo. buon lavoro